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Lo sguardo corto del Pd e la sconfitta del referendum. La versione di Giacalone

L’idea di subordinare una riforma costituzionale (taglio del numero dei parlamentari) a una legge ordinaria (elettorale) è in sé illogica. L’idea di ottenere la seconda entro la data del referendum confermativo era puerile e perdente, come dimostratosi. Supporre di rimediare con una legge d’iniziativa popolare, la cui raccolta di firme è lanciata da chi dispone di parlamentari, sicché, volendo, potrebbe presentarla anche domani, meglio ieri, è talmente ridicola da condurre alla domanda: perché il Partito democratico s’è messo nella condizione d’essere perdente quale che sarà il risultato referendario? Risposta: perché ha perso la bussola ed è incapace d’iniziativa politica. Perde perché s’è perso.

La responsabilità, in questa legislatura, di governi che ruotano attorno alla forza meno governativa esistente, ovvero il Movimento 5 Stelle, non è certo del Pd. È degli elettori, che pensando di punire le forze politiche esistenti hanno punito sé stessi e l’Italia. Avere fatto cadere il primo governo della legislatura, contrassegnato da un folle antieuropeismo, è un “merito” della Lega, convinta di potere fare banco. Avere reso possibile un governo di segno diverso è un merito del Pd. Un merito che ha un prezzo, ma anche le sue conseguenze positive, a cominciare dal fatto che l’Italia si ritrova a essere il Paese più finanziato dall’Ue. Si può discutere se sarebbe stato meglio andare a votare, assistere al trionfo leghista e da lì ricostruire. Difficile credere, però, che, senza questo tempo intermedio, sarebbe stata possibile la mutazione di Forza Italia. In ogni caso: le cose sono andate così. Da quel momento, però, il Pd s’è congedato dalla politica.

Una volta raccolte le firme per il referendum (raccolta promossa dalla Fondazione Einaudi) ci si doveva preparare. La legge elettorale era la linea difensiva? Debole, ma almeno esistente. Che aspettavano a volere l’immediata apertura dell’iter parlamentare? Sono rimasti inermi, nel vuoto.

Il guaio (serio) del Pd è che la gran parte di quanti lo compongono gioca una partita interna al Pd. Sul serio credono che sia una via d’uscita far fuori Zingaretti dalla segreteria? Tanto miserrima divenne la (non) visione delle cose? Ieri, con quella direzione, il Pd ha sancito la propria dissoluzione politica. Il resto è mera tattica. Se il Sì trionferà sarà il trionfo dei 5 Stelle; se vincerà di misura sarà la vittoria dei 5 Stelle e la sconfitta del Pd (con assieme Lega e Fratelli d’Italia); se vincerà il No sarà la sconfitta di tutti costoro. Non c’è una sola ipotesi in cui il Pd risulti vincente.

Anche per questo il 20 settembre è un’occasione irripetibile, per chiudere una lunga e asfissiante stagione di demagogia senza idee. Per non fare favoritismi: che siano tutti sconfitti. La mattina dopo ci si accorgerà che, a destra come a sinistra, c’è bisogno non di qualche altro furbacchione fesso che dice il contrario di quel che pensa, ma di qualcuno che pensi e sia in grado di dirlo.


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