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Perché il governo (più del Vaticano) dovrebbe temere la strigliata cinese di Pompeo. Parla Sisci

Non una condanna, ma un avviso. L’intervento del segretario di Stato americano Mike Pompeo contro il rinnovo dell’accordo fra Santa Sede e Cina non deve essere visto come un affondo frontale a papa Francesco.

Ne è convinto Francesco Sisci, sinologo, docente alla People’s University di Pechino, che insieme a Formiche.net legge il duro editoriale del capo della diplomazia Usa pubblicato questa domenica su First Things, sito della destra conservatrice americana, e rilanciato su Twitter da alti ufficiali del Dipartimento di Stato, come la portavoce Morgan Ortagus.

Proprio in questi giorni è in corso un difficile negoziato fra Santa Sede e governo cinese per rinnovare l’accordo sulle nomine dei vescovi in Cina siglato due anni fa. E il 29 settembre è prevista una visita di Pompeo in Vaticano, cui seguirà, il 30, una serie di incontri con il governo italiano.

Per questo ha sorpreso la scelta di attaccare così esplicitamente quell’intesa fra Pechino e la Chiesa cattolica, un’istituzione che con la Cina vanta una tessitura di rapporti antica di secoli.

Se dovesse rinnovare l’accordo, ha scritto l’ex capo della Cia su First Things, “Il Vaticano metterebbe a rischio la sua autorità morale”. Poi una bocciatura in pieno: “A distanza di due anni, è chiaro che l’accordo Cina-Vaticano non ha difeso i cattolici dalle depredazioni del partito, per non parlare dell’orrendo trattamento dei cristiani, dei buddisti tibetani, dei fedeli del Falung Gong, e di altri credi religiosi”.

Per Sisci, in verità, non si tratta di una vera condanna. “Ci sono due possibili letture di questo intervento – spiega a Formiche.net – la prima: il Vaticano ha davvero uno straordinario soft power nel mondo, altrimenti Pompeo non avrebbe scritto queste cose. La seconda: il rapporto tra Vaticano e Cina è una questione fondamentale e delicatissima nella situazione attuale, cioè quella di una Guerra Fredda fra Cina e Stati Uniti”.

Dopotutto, continua il sinologo, la posizione di Pompeo e dell’amministrazione Trump sulla libertà religiosa e l’intesa fra Cina e Santa Sede non è un mistero. Né si ignora che alle spalle del segretario di Stato e del vicepresidente Mike Pence c’è un’intera constituency (elettorale), quella dei cattolici conservatori americani e degli evangelici, che mal sopporta le interlocuzioni cinesi di San Pietro.

“Ci sono tante persone nella Chiesa cattolica americana, anche nella gerarchia, timorose dell’approccio del Vaticano con la Cina – dice Sisci ¬– Nell’intervento di Pompeo però non leggo ultimatum, che sarebbero impropri. Non dice: o il Vaticano sta con noi, o sta con la Cina. Richiama la Chiesa alla sua missione di difesa dei diritti umani, di faro delle libertà fondamentali”.

Per il professore “la diversità di opinioni è un valore fondamentale dell’Occidente, solo così si costruisce un dialogo. Pompeo fa un’affermazione, il papa e la Santa Sede hanno diritto a farne un’altra, nel reciproco rispetto dei ruoli. Il vero dramma sarebbe l’appiattimento”.

Difficile che l’intervento di Pompeo possa far saltare la visita in Vaticano fra nove giorni. Nel merito, il suo “è un articolo molto critico, ma non condanna la Santa Sede, mette i puntini sulle i. Un avviso. Duro, ma anche rispettoso. Ci sono altre forze politiche e religiose che sui rapporti fra Cina e Santa Sede si sono espresse in modo più aspro”.

Anche nel mezzo di una Guerra Fredda, “l’amministrazione Usa sa che non può e non deve chiedere alla Santa Sede di benedire una crociata. Le crociate sono state abbandonate da secoli”.

Semmai, conclude Sisci, il monito di Pompeo dovrebbe preoccupare più Palazzo Chigi. “Se gli americani sono così irritati per i rapporti fra Cina e Vaticano, che ha ragioni secolari per questo dialogo, figuriamoci cosa pensano di governi che tessono questa rete con ragioni assai più deboli…”.


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