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Caso Zhenhua, così fan tutti (anche in Cina). L’opinione di Caligiuri

Alla fine degli anni Novanta, Robert David Steele ci aveva avvisati: “La gran parte delle informazioni non solo non sono segrete ma non si possono neanche mantenere tali”. E ancora non c’era l’esplosione planetaria di internet, con WikiLeaks, Snowden, Cambridge Analytica, social credit system, darkweb e tanto altro.

Nella società della sorveglianza la privacy di fatto non esiste. Lo sanno bene le aziende così come lo sanno bene i governi. La vicenda Zhenhua descrive l’ovvio di questo tempo: “Le volenterose vittime di internet” vengono profilate con gli stessi dati che essi stessi inseriscono sul web.

Filosoficamente potrebbe considerarsi come “un’eterogenesi dei fini”, per descrivere gli effetti non intenzionali dei comportamenti umani. Nel caso specifico, sarebbe utile studiare sotto quali aspetti questi 4.544 italiani possano essere considerati interessanti dall’azienda cinese e quindi dal rispettivo governo. E va sottolineato che tra questi italiani “notevoli” ci sono anche le famiglie di mafia, indicatore più che preoccupante per svariate ragioni. I cinesi fanno targeting? E perché? E chi sono coloro i quali non compaiono? Materiale di studio per la nostra intelligence.

Com’è noto, la gran parte delle informazioni di interesse dell’intelligence proviene da fonti aperte e quindi il valore aggiunto è dato dall’integrazione con le fonti chiuse e quelle grigie ma soprattutto dalla capacità di analisi e ancor di più dall’utilizzo tempestivo e adeguato di queste informazioni da parte del decisore.

Dal mio punto di vista ci sono alcune questioni che andrebbero evidenziate. La prima è la necessità di sapere raccogliere e utilizzare le informazioni per la sicurezza in un modo globale dove tutti i Paesi sono inevitabilmente sempre più concorrenti.

La seconda è che i conflitti più cruenti sono quelli dell’informazione, con il corollario della guerra psicologica.

La terza questione è l’eticità che viene richiamata nella raccolta dei dati che, al pari della privacy, è inesistente: in un mondo senza regole come questo l’eticità è solo una parola annunciata che trova pochissimi riscontri dell’operato di Stati ed aziende.

Infine c’è l’aspetto principale rappresentato dal rapporto tra potere economico e potere politico. Nelle democrazie l’economia detta l’agenda alla politica, negli altri Paesi è il contrario. Da questa considerazione discende che in un modo globalizzato – che richiede decisioni veloci e dove metà della popolazione mondiale è collegata a internet – il ruolo delle multinazionali e dell’efficienza dei sistemi di governo farà inevitabilmente la differenza.

In Cina, al pari della Russia o dei Paesi islamici, la politica orienta l’azione delle multinazionali in funzione del benessere nazionale, ottenuto con i metodi che sappiamo ma che in questo modo si intende perseguire.

In questo scontro, che sarà sempre più senza quartiere, si pone il tema decisivo dell’efficienza dei regimi democratici, indeboliti da una rappresentanza inadeguata che gradatamente sta dando forza ai sistemi politici non democratici, alle multinazionali finanziarie e a quelle del crimine. Questo secondo ne, insegna la vicenda Zhenhua, che non sarà certamente l’ultima della serie.

Bene ha fatto il Copasir a chiedere immediatamente informazioni di dettaglio da parte dell’intelligence nazionale. La questione non attiene solo alla dimensione della sicurezza ma investe le istituzioni e la politica ai suoi livelli più alti. Dopo l’ordalia elettorale di regionali e referendum sarà il tempo della consapevolezza e della responsabilità. Speriamo.

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