Un conto è la mediazione, un altro l’equidistanza. La politica estera italiana ha una rotta precisa, e segue due binari insostituibili: gli Stati Uniti da una parte e l’Unione europea dall’altra. Parola di Luigi Di Maio, ministro degli Esteri e della Cooperazione internazionale che a Formiche.net ha rilasciato una lunga intervista su tutti i dossier più caldi dell’agenda diplomatica, dal caso Navalny al 5G cinese, dalle tensioni nel Mediterraneo orientale alla crisi in Libia fino alla deriva autoritaria in Venezuela. A un anno dall’insediamento di Di Maio alla Farnesina, che bilancio fare del suo mandato? Lo abbiamo chiesto ad alcuni fra i maggiori esperti di relazioni internazionali.
MARTA DASSÙ, DIRETTRICE, ASPENIA
Il ministro Di Maio espone una concezione della politica estera italiana che è in piena continuità con la tradizione: priorità dell’Unione europea, convinta adesione alla Nato, con gli Stati Uniti quale principale alleato, spazio mediterraneo. L’apprendimento è stato rapido, e non può che soddisfare il corpo diplomatico italiano, che si era sentito trascurato da ministri precedenti. Il punto è se l’Italia conti poi qualcosa, e se la difesa a tutti i costi del dialogo, come strumento centrale dell’azione internazionale, riesca davvero a tutelare gli interessi nazionali. La Libia è il test critico. L’esitazione di Roma rispetto alle richieste del governo Serraj ha lasciato spazio alla Turchia, mettendoci in difficoltà. Ma sarebbe eccessivo concludere che l’Italia non ha più nessun peso, visto che la Tripolitania non vuole essere soffocata dall’abbraccio esclusivo di Erdogan. Uno spazio c’è ancora, anche perché Washington si è nel frattempo resa conto di avere lasciato campo libero alla Russia in Cirenaica e Parigi esce ridimensionata dalla propria scommessa irragionevole su Haftar. Sulla Russia, Di Maio svicola un po’ ma è finalmente più netto sul caso Navalny e le responsabilità di Mosca. Sulla Cina non è chiaro fino in fondo (non lo è per l’Italia, non lo è per la Germania) come gestiremo la questione Huawei/5G: ma appare archiviata l’ingenuità del Memorandum of Understanding sulla Via della Seta, prendendo invece atto che esistono fondate preoccupazioni di sicurezza. In breve: se Di Maio rappresenta il pensiero internazionale del Movimento 5 Stelle, la fase “rivoluzionaria” è finita. Anche in politica estera.
PIERO FASSINO, PRESIDENTE, COMMISSIONE ESTERI DELLA CAMERA, CESPI
L’intervista del ministro Di Maio conferma saldamente il posizionamento internazionale dell’Italia: piena partecipazione alla integrazione europea e alle politiche della Ue, alleanza transatlantica e partnership strategica con gli Stati Uniti, rilancio del multilateralismo e riforma delle istituzioni internazionali, impegno diretto per la pacificazione e la stabilizzazione del Mediterraneo, lotta al terrorismo e impegno nelle missioni internazionali di pace, politica commerciale per mercati aperti e condizioni di reciprocità, salde radici nel campo occidentale unita a una capacita di dialogo con tutti i players del mondo globale. Scelte ispirate tutte dalla volontà di fare dell’Italia un attivo attore di un sistema multilaterale di governance della globalizzazione.
ARTURO VARVELLI, DIRETTORE, ECFR ROMA
L’intervista del ministro Di Maio sulla politica estera italiana offre spunti interessanti. Innanzitutto mi pare di poter dire che l’attuale governo stia riportando l’Italia a un classico posizionamento filo atlantico e pro europeista dopo una fase di sbilanciamento pro cinese e pro russo. L’Italia appare oggi un Paese che ha necessità che la globalizzazione non subisca brusche frenate o un rapido smantellamento. È chiaro che un mondo nel quale prevalgano le pulsioni identitarie troverebbe un’Italia troppo debole e piccola in un confronto con i grandi attori internazionali. Roma è al momento in grado di parlare con tutti gli attori importanti a livello globale e nel Mediterraneo, area da sempre essenziale. Questa è sicuramente una posizione di forza. Tuttavia è anche la sua debolezza. Perché questa capacità di dialogo non venga scambiata per ambiguità e difficoltà a trovare una posizione chiara vi è bisogno di tramutarla in iniziative e politiche proattive che si trasformino in mediazioni vere. Insomma la vecchia politica dei ponti deve essere rinnovata con idee nuove che tengano presente del mutamento di scenario e senza velleità. La cornice europea attuale (con l’uscita del Regno Unito) ci permetterebbe di avere un peso maggiore e di controbilanciare per esempio l’unilateralismo francese creando un asse con la Germania. Di Maio rispetto ai recenti predecessori ha un vantaggio importante. È il leader di un movimento politico di maggioranza e potrebbe avere la forza di trascinare il governo in iniziative più ambiziose. Il suo periodo di rodaggio è terminato. Coraggio!
NATHALIE TOCCI, DIRETTRICE, IAI
Una bellissima intervista in cui il ministro Di Maio spazia dal geografico al tematico, toccando aspetti chiave nella politica estera italiana, come il Mediterraneo, l’Europa, gli Stati Uniti e la Cina ,così come questioni tematiche di fondamentale importanza, come il commercio e il digitale. Colpisce positivamente l’accento e il richiamo costante del ministro al quadro europeo, dove effettivamente l’Italia ha recuperato nel corso della pandemia un ruolo chiave per troppo tempo dimenticato. Dal ministro questo è il segnale di una consapevolezza oramai radicata che la proiezione italiana nel mondo non può prescindere da, ma anzi è resa possibile solo grazie al suo inquadramento in una cornice europea. L’intervista identifica anche chiaramente l’area geografica dove questa proiezione europea maggiormente richiede un impulso italiano. Molto stiamo facendo in Libia e nel Mediterraneo orientale. Ma ancor più può ancora essere fatto dall’Italia in Europa.
ARMANDO SANGUINI, SENIOR ADVISOR, ISPI
L’impressione generale è positiva. Da questa intervista emergono un’intonazione e un linguaggio da diplomatico consumato, che cerca la mediazione sopra ogni cosa. Significa che, dopotutto, c’è un rapporto costruttivo con la “struttura della casa”, la Farnesina. Ovviamente alcune affermazioni fanno riflettere. Lo “slancio” degli ultimi dodici mesi di cui parla il ministro, francamente, pare più di maniera che di sostanza. Parla dell’Italia come attore di riferimento del Mediterraneo ma non usa, forse volutamente, la parola “protagonista”. Mette Grecia e Turchia su un piano quasi paritario, sottolineando la necessità di approfondire le cause del dissidio. Una lettura riduttiva di quanto sta accadendo ad Est del “Mare Nostrum”. Colpisce inoltre l’auspicio che il maresciallo Khalifa Haftar possa dare un contributo costruttivo alla soluzione della crisi libica. Un’ipotesi di non facile realizzazione. Sorprendono, infine, alcune omissioni. Dell’Egitto, come attore di stabilità nel Mediterraneo. Di Hezbollah, quando si parla di Libano. Della nuova Via della Seta cinese, di cui il suo partito è stato primo sponsor. Ne emerge comunque un’intervista di un uomo saggio, che fa di tutto per dare l’immagine di un Paese mediano, senza troppe velleità protagonistiche.
FRANCESCA MANENTI E MARCO DI LIDDO, CeSI
Il ministro di Maio ha dimostrato di essere ormai a suo agio con il complesso mondo della diplomazia e con i difficili equilibrismi della Farnesina. La politica della “porta aperta” che ha sempre caratterizzato l’azione internazionale italiana emerge con forza nelle sue parole, a testimonianza della volontà del nostro Paese di restare fedele a strategie di risoluzione delle controversie basate sul multilateralismo, sul dialogo e sul ruolo di mediazione delle principali organizzazioni internazionali, su tutte Nazioni unite e Ue. Vale lo stesso per i rapporti con la Cina, dove la sottolineatura della centralità della diplomazia economica permette di seguire una linea pragmatica che, pur cogliendo le opportunità potenziali provenienti da Pechino, non intacca in alcun modo la solidità e le priorità delle alleanze tradizionali italiane. Tuttavia, questo esercizio di moderazione talvolta mostra i suoi limiti rispetto ad alcuni dossier specifici come rapporti con la Turchia e con la Russia. Nel primo caso, il ministro degli Esteri appare quasi troppo morbido e possibilista nei confronti di Ankara, apparentemente sottostimando il grado di assertività ed aggressività della Turchia nel Mediterraneo Orientale e in Libia. Una riflessione simile può essere fatta sulla Russia, riguardo il caso Navalny: pur rispettando i rapporti tra Mosca e Roma, era legittimo attendersi una presa di posizione più forte verso una violazione inaccettabile dei diritti umani e della libertà politica.