Usando il linguaggio felpato della diplomazia, l’intervento scritto del Segretario di Stato americano Mike Pompeo contro la linea scelta dalla Santa Sede, non dal Vaticano, sulla Cina e i criteri di nomina dei suoi vescovi, non può che essere definito un’ingerenza negli affari interni del cattolicesimo, essendo il documento in oggetto firmato appunto dalla Santa Sede, non dalla Città del Vaticano, e quindi dal Papa non quale Capo di Stato ma come pastore universale della Chiesa cattolica.
L’ingerenza sta evidentemente nella scelta del sito dove scrive il Segretario di Stato Americano nell’imminenza del suo viaggio romano, First Things, capofila a stelle strisce di una virulenta opposizione a Francesco.
Dunque il capo della diplomazia Usa ha scelto di scrivere per quella che è stata la voce del neo-conservatorismo e che oggi rappresenta le ragioni, e le pulsioni, del neo-tradizionalismo cattolico romano per criticare espressamente non una scelta del governo della Città del Vaticano, per esempio sui rapporti diplomatici con questo o con quello, ma per criticare il Papa come pastore universale dell’ecumene cattolica.
L’oggetto ovviamente è la Cina e il rinnovo dell’intesa, che come tantissime altre intese del passato, cerca una strada per definire i criteri di nomina del vescovi, questa volta in Cina.
La Santa Sede ha scelto di rinnovare l’intesa per un altro paio d’anni, per Pompeo questo ne comprometterebbe l’autorità morale: giudizio espresso citando in particolare il dramma di Hong Kong, dove però la Chiesa, con vescovo, cardinale e cardinale emerito c’è e dice la sua da tempo.
Ma il punto che si pone adesso è: chi è Pompeo? Con quale autorità morale il capo della diplomazia statunitense discute dell’autorità morale della Santa Sede, espressione universale del cattolicesimo interpretato e rappresentato dal Papa, roccia della fede quale successore di Pietro?
Il punto è enorme e gravissimo non solo perché Pompeo è cattolico, non solo perché da sempre si è saputo che gli screzi tra Santa Sede e governo occidentali nulla sono al cospetto delle enormi diversità di vedute con la Cina e il partito comunista.
È un’interferenza negli affari interni della Chiesa cattolica perché Pompeo ha scelto, con il peso politico della sua posizione, di schierarsi ufficialmente sul suo organo di informazione con quella parte di Chiesa che contesta il successore di Pietro e a quindi di interferire nel confronto ecclesiale.
Pompeo evidentemente lo fa per altri motivi, motivi elettorali, legati al numero di cattolici che i sondaggi di queste ore dicono non sostenere Trump. E sperare così di sovvertire i rapporti. Ma il peso di questo passo anti-diplomatico avrà ricadute enormi, soprattutto se si considera quanto tempo ci sia di qui a novembre.
Cosa accadrà il 29, quando Pompeo sarà a Roma? Chi rappresenterà quando si presentasse in Vaticano a parlare con il Papa? Rappresenterà l’opposizione cattolica? Rappresenterà i finanziatori di First Things? O rappresenterà gli Stati Uniti d’America dove la Chiesa cattolica apostolica romana è libera e intitolata ad esprimersi con la sua libera voce, la sua incoercibile coscienza?
I giudizi di Pompeo sulla scelta romana sono certo importanti, come quelli della Segreteria di Stato sulle scelte americane. Ma qui a pesare più di tutto è l’irritualità di esprimerli in questo modo, su un organo di informazione tanto apparentemente cattolico quanto notoriamente ostile al Papa.
È in discussione la libertà religiosa negli Stati Uniti d’America? L’amministrazione americana sta annunciando la creazione di una Chiesa “scismatica”, o “parallela”? Questo è a mio avviso il portato dirompente della scelta del più autorevole collaboratore cattolico di Donald Trump.
Se, da segretario di Stato e da cattolico, si fosse espresso parlando o scrivendo per il New York Post o qualche altra testata dell’estrema destra americana nessun vulnus si sarebbe potuto intravedere. Ogni politico parla con chi vuole. Ma nella scelta di Pompeo, segretario di Stato e cattolico, si vede tutt’altro, si vede un’interferenza, un tentativo di costruire un mondo cattolico parallelo. E questo siamo abituati a immaginarlo possibile in Cina, non negli Stati Uniti.