Gelo a San Pietro. A Roma, in Vaticano, è il giorno di Mike Pompeo. Il Segretario di Stato Usa è nella capitale per una doppia tappa. Santa Sede, Palazzo Chigi, Farnesina. Una scaletta serrata di incontri, spezzata solo da una passeggiata in programma nella Galleria borghese, per discutere di tanti dossier. Su tutti la Cina, con cui il Vaticano sta per rinnovare l’accordo per la nomina dei vescovi.
All’Ambasciata americana presso la Santa Sede, l’inviato di Donald Trump prende la parola a un simposio sulla libertà religiosa. Introdotto dall’ambasciatrice Callista Gingrich, moglie di Newt, ex leader del Partito repubblicano, il Segretario di Stato ribadisce di fatto quanto ha scritto dieci giorni fa su First Things. Su quel sito conservatore aveva vergato un duro editoriale contro il rinnovo dell’accordo pastorale in Cina.
Uno strappo diplomatico che ancora non è stato ricucito. È lampante nelle parole di monsignor Paul Gallagher, Segretario vaticano per i rapporti con gli Stati. Quando a margine dell’evento l’Ansa gli chiede se il motivo del forfait di papa Francesco a Pompeo sia la sua strumentalizzazione della questione cinese, conferma tutto: “Questa è proprio una delle ragioni per cui il Papa non lo incontrerà”. Poi confida ai cronisti: “Non mi avete sentito pronunciare la parola ‘Cina’? Non mi avete sentito pronunciare nessun nome di nessun Paese: questa è la prassi della diplomazia vaticana, non pronunciare nomi e biasimi è uno dei principi della diplomazia vaticana normalmente”. Ma non nasconde l’irritazione: “Mi hanno invitato a parlare solo pochi minuti, non si fa così. Normalmente quando si preparano le visite a così alti livelli di ufficialità si negozia l’agenda in privato e confidenzialmente. È una delle regole della diplomazia dando la possibilità a entrambi di definire il simposio non dando le cose per fatte”.
Al Segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, spetta il discorso di chiusura della kermesse. Non presenzia quando parla Pompeo. Lui, finito il suo intervento, abbandona la sala e si dirige a Palazzo Chigi, dal premier Giuseppe Conte. Il clima è davvero senza precedenti.
Il simposio, organizzato unilateralmente dal Segretario di Stato, suonava già come un guanto di sfida. E la crisi fra Casa Bianca e Santa Sede si misura già nei due discorsi di Pompeo e Gallagher che aprono la conferenza.
Pompeo parte da un ricordo di Bernhard Lichtenberg, presbitero tedesco ucciso dai nazisti per aver difeso gli ebrei, proclamato beato da Giovanni Paolo II. Quella testimonianza di fede, dice, serva da esempio oggi. Alla Chiesa e ai leader di tutte le religioni ricorda che hanno un “dovere morale” di “difendere i diritti umani, opporsi ai regimi autoritari, stare dalla parte di chi rischia la libertà”. Gli Stati “fanno compromessi”, continua, la Chiesa “si basa su verità eterne”.
Non cita l’accordo fra Santa Sede e Città Proibita, ma non ne ha bisogno: è il convitato di pietra. Riaffiora di continuo. Quando parla delle persecuzioni contro i musulmani uiguri, i buddisti tibetani, i cattolici. L’ex capo della Cia nomina per ben cinque volte papa Woytila. È un continuo riferimento al suo coraggio contro “i regimi malvagi”, che ha “buttato giù la cortina”. Nulla è lasciato al caso.
Gallagher prende la parola subito dopo. Venti minuti, e non un solo accenno alla Cina o al discorso di Pompeo. Il suo intervento parte dal documento dello Special rapporteur sulla libertà religiosa dell’Onu. Un rapporto molto criticato negli Stati Uniti, specie in ambienti conservatori vicini all’attuale amministrazione, per la strenua difesa dell’ideologia gender che vi è sottesa. Gallagher, forse cercando un punto di contatto con l’interlocutore, si scaglia contro “le ideologie inflessibili”, il “politically correct” che attacca “la libertà di coscienza e religione”, coloro che “ritengono che la libertà religiosa debba cedere di fronte alla promozione di altri cosiddetti diritti umani”.
Della Cina, degli uiguri, neanche l’ombra. La prima parte del simposio si conclude con due interventi paralleli. Pompeo e Gallagher sono nella stessa stanza, ma non si parlano. Pochi minuti dopo, le agenzie battono il suo arrivo a Palazzo Chigi, con buona pace del discorso di Parolin. Se il buongiorno si vede dal mattino, non è un gran giorno nei rapporti fra Vaticano e Stati Uniti.