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Che succede se mandiamo in pensione Quota 100? Lo spiega Pennisi

Il presidente del consiglio Giuseppe Conte ha deciso che il 31 dicembre 2021 Quota 100 verrà mandata in quiescenza, ossia non verrà più rifinanziata. In breve, per questa uscita dal lavoro tanto voluta dal governo Conte I, il governo Conte II risponde: chi ha avuto, ha avuto/chi ha dato, ha dato come dice un vecchio proverbio foggiano.

Premetto che sono sempre stato piuttosto indifferente a Quota 100 per tre ordini di motivi. In primo luogo, credo che la grande maggioranza degli italiani, come me, non considerino il lavoro una maledizione biblica, ma siano lieti di avere una vita attiva, ed essere inseriti socialmente, il più a lungo possibile.

In secondo luogo, ho sempre pensato che i requisiti di Quota 100 e la perdita di reddito ad essa associata erano tali che solo pochi ne avrebbero fatto richiesta: in effetti, ne hanno usufruito poco più di duecentomila persone in gran parte di genere maschile, del Nord e in grado di continuare a lavorare come liberi professionisti con partita Iva.

In terzo luogo, al pari di Robert Holzmann (attuale governatore della Banca centrale austriaca) con cui ho lavorato alla fine degli anni novanta ed all’inizio di questo secolo (quando era vicepresidente della Banca mondiale incaricato dei settori sociali) ritengo che un sistema previdenziale Ndc (Notional Defined Contribution, ossia contributivo), quale quello scelto dall’Italia nel 1995 implica pensioni flessibili: prima si va in pensione, meno si prende. E al limite, se si è abili a svolgere le funzioni richieste, non prevedere “pensioni di vecchiaia”: se si lavora sino a 75 anni, si passano gli ultimi anni dell’avventura umana con pensioni pingui, se si decide di lasciare il lavoro a 60 anni si avranno invece pensioni misere.

Comunque, dopo il 31 dicembre 2021 chi avrà i requisiti necessari per la misura di pensionamento anticipato dovrà aspettare 5 anni per uscire dal mondo del lavoro, raggiungendo l’età fissata per la pensione di vecchiaia (67 anni contro i 62+38 di contributi previsti da quota 100). Si tratta dell’effetto scalone che potrebbe essere evitato solo con una nuova misura di pre-pensionamento.

Sono state lanciate ipotesi varie quali Quota 101, Quota 98 (non per tutti) e Quota 41 (ma con penalizzazioni).

Quota 98 e Quota 101 sarebbero un doppio canale di pensionamento anticipato. La proposta è portata avanti dai sindacati per gli addetti delle attività di lavoro gravoso: puntano a 62 anni di età anagrafica minima e 36 anni contributivi (per l’appunto sommati si arriva a Quota 98). Tra l’altro è in atto una discussione sull’opportunità di estendere il numero di categorie di lavoro usurante ad altre occupazioni, anche alla luce dei rischi sanitari provocati dall’emergenza Covid-19.

Quota 98, nella proposta avanzata dai sindacati non avrebbe penalizzazioni sull’assegno mensile o comunque in minima misura. E poi per gli altri ci sarebbe Quota 101. Questa forma di pensionamento anticipato sarebbe invece più penalizzante di Quota 100. Se con Quota 100 i lavoratori possono andare in pensione a 62 anni di età con 38 anni di contributi maturati (finestra di 3 mesi), con Quota 101 viene posticipata l’età anagrafica a 64 anni con 37 anni di contributi. E in più sarebbero previste forti penalizzazioni per chi usufruisse della misura.

Pare che per smussare lo scalone, il governo pensi a Quota 102. La ministra Catalfo ha manifestato la volontà di allargare l’accesso alla pensione con 41 anni di contributi ai lavoratori fragili. C’è stata un’apertura volta a facilitare l’accesso a Quota 41 per i lavoratori precoci. Queste misure potrebbero costare molto alle casse dello Stato 12 miliardi di euro sin dal primo anno.

Costerebbe meno Quota 102 che, fisserebbe come età minima anagrafica per poter richiedere la pensione anticipata non più a 62 anni ma 64. I requisiti contributivi resterebbero a 38 anni di contributi versati. Si arriverebbe a una decurtazione sul trattamento pensionistico circa del 5%. I sindacati stimano che potrebbe interessare fino a 150 mila cittadini italiani all’anno e che costerebbe circa 8 miliardi il primo anno, con una lieve diminuzione negli anni successivi.

A mio avviso, una delle ipotesi che va analizzata con attenzione è quella del ricorso a un meccanismo flessibile, coerente con i principi del meccanismo contributivo/Ndc per il calcolo delle spettanze, con facoltà d’uscita a partire da 62, o 63, anni d’età anagrafica e almeno 36, o 37, anni di contribuzione con una penalizzazione del trattamento di circa il 2,8-3% per ogni anno d’anticipo rispetto al limite dei 67 anni per il pensionamento di vecchiaia”.

Ed è stata anche ventilata l’idea di fare finanziare i pensionamenti agevolati con il Resilience and Recovery Fund. Ma dal Teatro La Monnaie di Bruxelles è giunta l’eco del coro del Verdi, il coro a Dio dei Lombardi miseri, assetati a suo di pernacchie. Un’indicazione? Un suggerimento?

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