Leggendo in controluce il risultato del referendum ci sono due elementi significativi. Innanzitutto la percentuale dei votanti. Nella storia della repubblica è la quarta volta che si vota un referendum ex art 138 Cost. Nel 2001 ha votato il 34,1% dei cittadini, nel 2006 il 52,4% e nel 2016 il 65,4%.
Ieri ha votato il 53,8% del corpo elettorale. Una percentuale significativa. Ancor più considerando che si votava per le regionali soltanto in 7 regioni e che siamo in piena epoca Covid, con tutti i timori e le complicazioni organizzative. Questo significa che c’è voglia di partecipazione e di democrazia. Una buona prova del popolo italiano, che come sappiamo detiene la sovranità, anche se spesso non sa bene come esercitarla.
Il secondo punto è il risultato del No. Sappiamo che in ultima votazione in parlamento la riforma era stata approvata dal 97% dei votanti e che in campagna referendaria si erano schierati ufficialmente per il Si il 95% dei partiti. Tutti salvo +Europa, Rifondazione comunista, i Socialisti e Azione. Invece il No ha raggiunto il 30,3% dei voti. Cioè oltre 7 milioni di cittadini hanno votato disattendendo le indicazioni dei partiti. Questo significa che esiste una consapevolezza degli elettori, ma anche che c’è una ampia fetta di Paese che si sente poco rappresentata dagli attuali schieramenti dei partiti.
Comunque, ha vinto il Sì. E in base al principio di maggioranza, la volontà espressa dai più prevale ed essere perciò considerata come volontà di tutti. Dobbiamo quindi tutti lavorare per cercare di rendere utile il taglio lineare dei parlamentari. Perché come abbiamo ripetuto più volte, questo taglio in sé non consente di far funzionare meglio la nostra democrazia.
Ma può essere la spinta per lavorare a riforme utili e anzi spesso necessarie, a partire dalla legge elettorale.