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Perché (e come) puntare sulla ricerca. Scrive il ministro Gaetano Manfredi

Di Gaetano Manfredi

Stiamo vivendo anni di profonde trasformazioni della società su scala globale, molto spesso rapidissime. Al contempo assistiamo a una deriva inattesa del fenomeno della globalizzazione, che continua a compiersi sul piano economico ma che si è interrotta sul piano culturale, politico e sociale.

Pensiamo, ad esempio, alla diffusione di nuovi nazionalismi e regionalismi, all’interruzione del fenomeno di integrazione europea, al rafforzamento delle barriere politiche e dei confini. Fenomeni che richiedevano, a prescindere dall’emergenza del Covid, un cambio di visione rispetto al ruolo che la ricerca deve assumere per lo sviluppo della nostra società, in grado di guidare il Paese attraverso l’innovazione necessaria a nutrire di qualità e competenze il tessuto economico delle imprese e il tessuto sociale delle comunità.

La crisi sanitaria e i suoi tremendi risvolti hanno, però, reso più urgente l’opportunità di spingere il sistema della ricerca verso una riconfigurazione dei propri obiettivi e dei propri strumenti, e di ampliare l’efficacia del proprio impatto sulla società, sull’economia, sulle comunità e sul sistema-Paese nel suo complesso. Gran parte della società italiana si è oggi definitivamente convinta che il futuro si costruisce sulle competenze e che la ricerca non è fine a se stessa ma può aiutare a vivere meglio. Occorre per questo intraprendere una serie di azioni che consentano di ottenere cinque obiettivi.

Il primo è favorire la ricerca integrata, multidisciplinare e complessa, perché il mondo che viviamo è ben più articolato e complesso delle classificazioni disciplinari che vengono adoperate e perché l’esperienza che stiamo vivendo ci sta insegnando quanto a problemi complessi non possono esserci risposte semplici.

Secondo, rafforzare la ricerca di base, un tassello fondamentale della ricerca scientifica, che alimenta di qualità le ricerche orientate, il tessuto culturale, l’educazione terziaria, dove l’Italia ha storicamente avuto un ruolo di primo piano in molti ambiti scientifici, ma che da troppo tempo non è supportata come sarebbe necessario.

Terzo, promuovere la ricerca mission-oriented, attraverso la quale dare concretezza e utilità alle attività dei ricercatori, chiamati a confrontarsi con il tessuto produttivo e con la società. La ricerca va inoltre avvicinata alla formazione; il mercato del lavoro pretende infatti competenze aggiornate e adeguate alle sfide delle trasformazioni in corso. L’obsolescenza delle conoscenze, a cui si deve rispondere con il life-long learning e con una università mista e inclusiva, pretende che nei percorsi formativi siano trasferite competenze aggiornate.

Infine, va avvicinata la ricerca alla società; i ricercatori devono offrire il proprio contributo alla crescita culturale dei territori, delle città, delle comunità locali. Lavorando con le Pubbliche amministrazioni, le associazioni e il terzo settore, i ricercatori devono avvicinare i cittadini alla ricerca, divulgandola, rendendola umana, contrastando quella negazione del valore scientifico che recentemente è emerso nel pensiero comune. Ci attende quindi un grande lavoro per supportare, innovando, la ricerca in Italia, traendo grande insegnamento dalla lezione che ci sta fornendo la terribile esperienza di questi mesi.

La ricerca va riscoperta come bene comune capace di svolgere finalmente appieno quella funzione sociale di cui il nostro Paese ha grande bisogno. Il mondo della ricerca dovrà e – sono convinto – saprà innovarsi per contribuire al benessere del Paese e a quella resilienza alle crisi che non possiamo permetterci di non avere. Nulla sarà come prima ma certamente ricerca e formazione saranno più centrali nel nostro futuro post-Covid.

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