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Santa Sede e Cina, cosa porterà al rinnovo biennale dell’intesa

Cardinale Pietro Parolin

Dunque ci siamo. In un momento di gravissima tensione globale con rischi evidenti di deriva militare, la Cina e la Santa Sede, non il Vaticano, si apprestano a prolungare il loro accordo sulla nomina dei vescovi locali, cioè vescovi cinesi per le diocesi della e nella Cina Popolare. Lo ha detto il Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, specificando che l’intenzione di Papa Francesco è procedere per almeno altri due anni.

Il fronte del rifiuto interno alla Chiesa cattolica ovviamente prova ad alzare il muro del no, usando ovviamente la questione, drammatica, di Hong Kong e tutto ciò che essa naturalmente comporta.

Il 22 settembre 2018 la Santa Sede, non il Vaticano, ha firmato un’intesa con le autorità politiche di Pechino, rendendo evidente in ciò stesso che l’accordo riguarda la Chiesa nella sua universalità e il Papa quale suo pastore universale. Dunque non è un accordo politico tra Stati, ma un accordo religioso che mira a superare la divisione tra Chiesa patriottica e Chiesa clandestina. La Chiesa nella sua storia ha conosciuto ben altri concordati limitativi dell’autorità papale sulle nomine vescovili. La storia europea ne è piena. Questo invece mira a creare un meccanismo per la designazione concertata dei vescovi. Gli screzi che accompagnano il cammino della libera Chiesa in Occidente non hanno nulla a che vedere con l’enormità delle incomprensioni con Pechino, che dopo aver ritenuto di poter sradicare le religioni ha cercato di costruire una Chiesa cinese fedele al partito e non al papa.

Nel momento di un ulteriore possibile giro di vite, di sinizzazione delle religioni, l’accordo ha dato luogo a tante speranze. Nel suo messaggio ai cattolici cinesi, in calo numerico negli ultimi tempi, Francesco ha detto che un accordo non potrà risolvere tutti i problemi, ma ha anche confermato che i cattolici anche in Cina “sono buoni cittadini, amano la Patria e servono il loro Paese.” Dunque non c’è motivo di contrapporre una Chiesa patriottica a quella fedele a Roma, questa fedeltà non mina la fedeltà e il patriottismo dei cattolici cinesi davanti al loro governo e al loro Paese. Ovviamente questa fedeltà, proseguiva Francesco, prevede e comporta anche la fatica di dire una parola critica, non per sterile contrapposizione, ma allo scopo di edificare una società più giusta, più umana è il rispettosa della dignità di ogni persona.

Dunque il messaggio di Francesco non illudeva nessuno, ma riconosceva lo Stato nella sua indiscutibile sovranità, davanti alla comunità internazionale e davanti ai suoi cittadini. Certo, i problemi, come ha chiarito da subito il Papa stesso, non mancano. Basti ricordare la richiesta registrazione civile dei sacerdoti, persistente ancora oggi, e che può imporre requisiti inaccettabili. Così i sacerdoti chiamati a firmare sovente devono specificare che lo fanno senza venir meno ai principi della dottrina cattolica. Chi non firma però non diviene un “sacerdote clandestino”, rimane a tutti gli effetti nella sua Chiesa. Ma il vero punto di discussione è il precedente, è il riconoscimento della legittimità dello Stato. Ecco perché il cardinale Zen ed altri sostengono che chi firma entra in una Chiesa scismatica, agli ordini del Partito e non del Papa.

In definitiva il cardinale Zen sostiene che nessun accordo (con Pechino) sia meglio che un accordo da lui non condiviso. Legittimo, ma non è legittimo che il cardinale attribuisca questa posizione a Giovanni Paolo II e a Benedetto XVI, che, come Francesco, hanno sostenuto la tesi opposta e promosso l’accordo con Pechino. Ha scritto al riguardo il cardinale Re, decano del Sacro Collegio, ai suoi colleghi cardinali in una lettera del 27 settembre 2019: “Sorprende l’affermazione del Porporato che l’accordo firmato è lo stesso che Papa Benedetto aveva a suo tempo rifiutato di firmare. Tale asserzione non corrisponde a verità. Dopo aver preso conoscenza di persona dei documenti esistenti presso l’Archivio Corrente della Segreteria di Stato, sono in grado di assicurare a vostra eminenza che Papa Benedetto XVI aveva approvato il progetto di accordo che soltanto nel 2018 è stato possibile firmare.” Questa ovviamente non è la riprova che l’accordo sia positivo, ma l’indicazione evidente che le posizioni del cardinale Zen originano altrove.

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