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Dalla scuola al lavoro, così si può limitare il contagio. Parla il prof. Palù

L’Italia, alla vigilia dell’apertura delle scuole sta per affrontare una prova decisiva nella gestione e nella convivenza con il virus. Smartworking e gestione immediata dei focolai sono gli strumenti imprescindibili per non far ripiombare il Paese nel caos di marzo e aprile. Di questi tempi, complessi e articolati, ne abbiamo discusso con il professor Giorgio Palù, professore emerito in microbiologia e virologia presso l’Universita di Padova. Il vaccino? “Per avere un vaccino che funzioni di solito servono dai cinque ai dieci anni ma il vaccino per Sars-CoV-2 impiegherà più o meno due anni”.

L’aumento dei contagi la preoccupa?

Più che preoccupare me dovrebbe preoccupare il governo. C’è un aumento dei contagi e c’è un aumento dei ricoveri ospedalieri ma siamo ancora lontanissimi dai numeri di marzo e aprile. Ora siamo intorno al 2% dei soggetti testati e non c’è una crisi per il sistema sanitario.

Quali sono le differenze con marzo?

A marzo e aprile avevamo saturato le rianimazioni, avevamo una mortalità elevata e la diffusione del virus colpiva soprattutto fasce d’età più avanzate e dunque più deboli. La Lombardia, insieme ad altre regioni, aveva saturato la disponibilità dei posti in rianimazione. A livello nazionale noi disponiamo di circa 5mila posti in terapia intensiva e ne erano occupati più di 4mila. Oggi invece l’età delle persone colpite viaggia intorno ai 30 anni. È una differenza di tipo epidemiologico e clinico quindi non si può guardare solo al numero dei positivi. Anche perché molti dei positivi attuali sono asintomatici mentre all’inizio si testavamo soprattutto positivi sintomatici ed erano soggetti più anziani. Ora c’è un’incidenza di positivi che assomiglia a quella di marzo e aprile ma, prima di tutto, positivo non vuol dire malato, in secondo luogo positivo non vuol dire che trasmette il virus e, infine, il test del tampone non misura il virus infettivo ma misura una molecola di Rna, ci sono studi che dimostrano che soggetti che hanno meno di un milione di genomi equivalenti per unità, quindi per millilitro di fluido, non sono infettivi. Dobbiamo tenerne conto. Un altro dato di cui dobbiamo tenere conto è che la sieroprevalenza è intorno al 2%. Quindi parliamo di un virus che avendo infettato solo una piccola quota della popolazione continuerà a circolare, non è mai svanito e continuerà a infettare.

Si può dire che il virus sia mutato in una forma meno aggressiva?

Il virus ha subito molte mutazioni tanto che a partire dal progenitore di Wuhan, che probabilmente girava già dal settembre del 2019, oggi si conoscono almeno sei cladi (le cladi sono degli insiemi di ceppi che hanno in comune il progenitore). Il virus che circola in tutto il mondo è ben attrezzato per replicare e per infettare grazie alla mutazione D614G sul gene S, non possiamo dire che la virulenza sia diminuita, ci sono state almeno mille mutazioni tutte ancora da caratterizzare fenotipicamente (capacità di crescita in vitro e in vivo e patogenicità). Questo virus ha 4 geni per le proteine strutturali, 16 geni per le proteine non strutturali e 6 sequenze aperte per altre funzioni accessorie non ancora tutte studiate. Non possiamo dunque con certezza stabilire se il virus abbia perso virulenza. Tutti i virus che hanno una letalità bassa, come il SARS-CoV-2 responsabile della sindrome Covid-19 (letalità oggi stimata tra lo 0,3% e lo 0,6% da studi di sieroprevalenza) hanno grande probabilità di contagiare. Il virus si sta a poco a poco adattando all’uomo, ed è questo il destino di molti virus pandemici.

Cosa vuol dire che si sta adattando all’uomo?

Se lei ricorda nel 2002 e nel 2012 ci sono stati altri due spillover di coronavirus dal pipistrello: si chiamavano Sars e Mers. La Sars, con caratteristiche simili a quelle del Covid-19 ma molto più aggressiva, ha infettato rapidamente in meno di un anno 8-10mila persone con una mortalità del 10%. Nel 2012, la Mers ha infettato 2700 persone e ne ha ammazzate il 35%. Questi virus si sono estinti nel giro di un anno perché quando un virus ha un’alta letalità, essendo il virus un parassita obbligato, eliminando il proprio ospite estingue sé stesso. Non solo ma essendo Sars e Mers ad alta letalità erano più facili da circoscrivere. Abbiamo avuto invece in passato altri spillover dall’animale all’uomo (pipistrello e topo) di coronavirus, causa del raffreddore stagionale, quello che arriva ogni anno e di cui non ci preoccupiamo per la bassa morbosità e la quasi assenza di letalità; ecco con quei coronavirus noi conviviamo e la stessa cosa con tutta probabilità succederà con SARS-CoV-2, virus che è ormai endemico alla specie umana, di letalità non particolarmente elevata, che abbiamo iniziato a conoscere e a trattare e che nell’ultimo periodo sembra clinicamente meno aggressivo.

Parliamo di vaccino sicuro: a suo giudizio in quanto tempo può essere pronto?

Se stiamo a sentire Bill Gates, Trump e Putin dovremmo già averlo. E in effetti diversi vaccini hanno già superato la fase due e sono in fase tre, almeno cinque da quanto si apprende, una trentina sono in fase clinica e sono stati preparati oltre 150 allestimenti vaccinali. I più avanzati sono due vaccini cinesi, il vaccino russo, il vaccino di AstraZeneca, inglese che ha subito un arresto qualche giorno fa per una reazione avversa su un volontario, e due vaccini americani. Per avere un vaccino che funzioni di solito servono dai cinque ai dieci anni, perché si testa prima sugli animali e poi sugli uomini. Nel caso del Covid-19 è quasi del tutto saltata la sperimentazione sugli animali e si è passati subito ai volontari umani. Come detto almeno cinque sono in fase tre, il che vuol dire che il vaccino è testato su decine di migliaia di persone, però per completare la fase 3 ci vuole del tempo. Un farmaco, e ancora di più un vaccino che ha lo scopo di prevenire la malattia in un soggetto sano e non di curare un ammalato, non deve causare effetti indesiderati di tipo acuto o cronico e non deve, come è già successo con il vaccino per l’Hiv e per il virus della Dengue, facilitare l’infezione. Ci sono fasi cliniche fondamentali per capire se un vaccino è utile, funziona, se non dà effetti collaterali, se è efficace nei confronti di tutti i virus mutanti, se dà un’immunità permanente e se è sicuro. Verosimilmente il vaccino per SARS-CoV-2 impiegherà più o meno il tempo che ha impiegato il vaccino anti ebola, per il quale si è accelerato al massimo e ci sono voluti due anni. Magari sarà pronto alla fine dell’anno ma non sarà disponibile per tutti, sperimentalmente per i soggetti più esposti.

Pensa che la didattica in presenza possa avere lunga vita oppure con l’approssimarsi dell’autunno si tornerà alla Dad?

Non sono un indovino, posso dire che stiamo imparando e credo che dovremmo utilizzare il metodo del wait and see. Gli adolescenti e i bambini si ammalano poco e se si ammalano non sviluppano forme gravi. Certo va considerato che in Italia vivono ancora in casa, a differenza di molti altri Paesi nei quali la scuola è già ripartita, e possono essere veicolo del virus per le persone anziane. Nei mesi di marzo e aprile abbiamo visto che i soggetti a rischio per mortalità erano le persone più anziane, circa il 90% dei decessi causati dal virus si è avuto tra le persone con età media intorno agli 80 anni. Un consiglio utile, oltre a quello di controllare con attenzione, identificare, tracciare e isolare da subito i focolai che si accendessero per contagio “scolastico”, potrebbe essere quello di riattivare, come in passato, la medicina scolastica e migliorare le strutture didattiche.

Il ricorso un massiccio allo smartworking può essere una scelta valida per contrastare il propagarsi dell’epidemia?

Anche in questo caso dobbiamo adottare un wait and see, vedere quello che succede nelle scuole, bloccare i focolai sul nascere, attuare un approccio sia diagnostico sia diretto che di siero-sorveglianza. Lo smartworking ormai è entrato nella quotidianità di molti, i grandi uffici con le sale di rappresentanza si possono evitare, i soggetti che hanno comorbosità possono restare a casa. Molte aziende, le più evolute non hanno bisogno della presenza. Questa pandemia deve insegnarci a pensare anche ad altre forme pandemiche e a prevenirle a partire da investimenti in virologia evoluzionistica (quella che studia la comparsa di nuovi virus all’interfaccia animale-uomo) e dai presidi diagnostici dei territori . Oltre a questo valgono le solite raccomandazioni: mantenere le distanze di sicurezza, usare la mascherina, non stringere la mano che è un’abitudine medievale.

La scorsa settimana si è riunita la piazza di negazionisti del virus. Cosa possiamo dire a chi non crede nel Covid-19?

Negli anni ‘80 un famoso virologo, oncologo sperimentale e oncovirologo, Peter Duesberg, che qualcuno aveva anche indicato per l’attribuzione del Nobel, negava l’esistenza dell’Hiv. Diceva che l’Aids non era causato dal virus ma da comportamenti omosessuali e dall’uso di droghe in grado di alterare il nostro sistema immunitario. Questa per me è la posizione di un negazionista, uno che nega, contro tutte le evidenze scientifiche (in questo caso gli stessi postulati di Koch), il nesso causale tra un agente e la malattia ad esso collegata. Io non so se questi signori neghino realmente l’esistenza del virus, se lo fanno è una follia. Questo virus è stato dimostrato nelle lesioni e nei tessuti dell’uomo e del macaco, ci sono oltre 100mila genomi sequenziati, è stato dimostrato che si trasmette da uomo a uomo. I virus sono gli elementi vitali più diffusi sul pianeta; alcuni vivono nel nostro organismo anche in forma asintomatica. Io credo che vadano fatti dei corsi a scuola per spiegare cosa sono e come funzionano i virus. Questi negazionisti immagino appartengano allo stesso bacino dei no vax. Ecco a loro va spiegato che le multinazionali dei vaccini sono tre e i vaccini non sono le principali occupazioni delle case farmaceutiche. Per queste è meglio investire nei farmaci che si prendono ogni giorno come l’aspirina, le statine, o il viagra che ha fatto crescere la Pfizer. Diciamo che queste persone dovrebbero studiare.


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