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Stati Uniti e Vaticano, perché non ci sarà rottura. Lo spiega John L. Allen (Crux)

“La frattura c’è. Ma non sarà fatale”. John L. Allen, vaticanista di lungo corso, fondatore del sito Crux, già commentatore delle vicende dei Sacri palazzi per la Cnn e il Boston Globe, ne ha viste tante. Ma “mai un segretario di Stato che critica un papa, con un editoriale”. Si riferisce a Mike Pompeo, il capo della diplomazia Usa che Donald Trump ha inviato a Roma per un round serrato di colloqui questo mercoledì. E per un simposio all’ambasciata americana alla Santa Sede di cui proprio Allen è il moderatore. Al centro della tappa la Cina e, in Vaticano, l’accordo con la Santa Sede sulla nomina dei vescovi che sarà rinnovato dopo due anni.

John Allen, Pompeo è a Roma ma il Vaticano ha già parlato. Sull’Osservatore Romano, Andrea Tornielli ha chiarito che l’intesa fra Cina e Santa Sede va avanti.

Era già chiaro, Tornielli l’ha reso più chiaro. Il Vaticano conosce bene la posizione dell’amministrazione Trump sulla Cina, e non la condivide. C’è l’intento di rinnovare l’accordo, ammesso e non concesso che i cinesi vogliano lo stesso, e la convinzione che il rinnovo non sia “un premio” al governo cinese, ma l’unica via per il confronto.

Si può parlare di frattura?

Non credo. Tutti sapevano il pensiero di Pompeo ben prima del suo articolo. Irritazione, quella sì. È la prima volta che un segretario di Stato americano si lamenta pubblicamente della Santa Sede.

La prima?

La prima con un articolo, su un sito conservatore. In trent’anni da vaticanista, non mi è mai capitata una cosa del genere. Disaccordi ce ne sono stati. Penso a Colin Powell, quando la Chiesa criticò l’entrata in guerra degli Stati Uniti in Iraq nel 2003. Ma mai con un editoriale.

Quindi?

Quindi, nonostante tutto, non ci sarà una frattura, c’è troppo in ballo. Il Vaticano sa che, se vuole essere la voce della coscienza morale nel mondo, deve avere rapporti con le superpotenze. Trump da parte sua sa che ha bisogno dei voti dei cattolici per la rielezione. Non può tagliare i ponti con il papa.

Eppure tanti cattolici conservatori sposano la linea di Pompeo.

Un Segretario di Stato non scrive un intervento come questo a un mese dalle elezioni senza un perché. Pompeo e i suoi consiglieri avranno soppesato pro e contro. Ma un conto è essere critici di Francesco, un conto è cercare lo scontro frontale. Questo Trump non può permetterselo. Si giocherebbe un 2% circa di elettori che fra lui e il papa, sceglierebbero il papa.

E tra lui e Biden?

I sondaggi dicono che Trump ha un lieve vantaggio sui cattolici bianchi, Biden è molto avanti fra gli afroamericani e i latini. Il presidente parla ai cattolici critici di papa Francesco su tanti temi, dall’immigrazione all’ambiente, dall’Amoris Letitia alla Cina.

Allen, perché secondo lei Stati Uniti e Vaticano hanno bisogno l’uno dell’altro?

Perché il Vaticano ha un solo potere, il soft power del papa nella comunità globale, e ha bisogno del riconoscimento degli Stati Uniti. Con cui, peraltro, vuole collaborare su tanti fronti: la promozione dei diritti umani, la libertà religiosa, le campagne contro il traffico di esseri umani. D’altro canto, da quando Reagan ha lanciato le relazioni diplomatiche con la Santa Sede, nessun presidente si è permesso di snobbare un papa.

Trump sta puntando molto sugli “Accordi di Abramo” in Medio Oriente per mettere in un angolo l’Iran. Gli Stati Uniti cercano il supporto del Vaticano?

Non c’è dubbio che questa amministrazione sognerebbe un endorsement. Finora non c’è stato, il papa, Parolin, Gallagher non hanno neanche menzionato gli accordi. Un silenzio assordante. Più che un aperto supporto, la delegazione americana dovrebbe considerare un successo l’assenza di critiche.

Torniamo all’accordo con il governo cinese. Ha prodotto qualche risultato in due anni?

Il suo obiettivo non era produrre risultati in due anni. Pompeo ha ragione quando dice che in questo periodo la libertà religiosa è peggiorata. Ma il Vaticano ragiona con logiche diverse, pensa che la comunità internazionale e i cattolici in Cina siano meglio tutelati da un negoziato di lungo periodo. Non cambierà idea, tantomeno per un articolo.

Crede che nei dialoghi bilaterali spunterà il caso Becciu?

Ne dubito, sarebbe molto anomalo. È il più grande cruccio di Francesco in queste ore, ma resterà fuori dall’incontro con Pompeo. Si parlerà dei punti dell’agenda diplomatica e delle visioni in comune.

Sul fronte della bioetica non mancano affinità. Come dimostra il no secco del papa all’eutanasia.

Sull’aborto, l’eutanasia e altri temi di bioetica c’è sintonia. Non si tratta di Trump: su questi temi la Chiesa cattolica è sempre stata più vicina al Partito repubblicano che ai democratici. Il problema è che il sistema politico americano si fonda su due partiti. Il primo sottoscrive ciò che pensa il 50% dei cattolici, il secondo fa sue le battaglie dell’altro 50%. Per questo non esiste un presidente americano con cui il papa vada d’accordo su tutto.

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