Pensate di essere un ragazzo nato e cresciuto in Italia, con la pelle leggermente scura o leggermente chiara. Pensate di essere più o meno bravo a correre, saltare, tirare calci a un pallone, nuotare in una piscina. Di avere, se madre natura ha voluto, un discreto talento.
Ora, pensate di non poter gareggiare per quello che è il vostro Paese, che sentite essere casa, perché non ne avete il passaporto. Dovrete aspettare anni, che quando si è adolescenti sembrano infiniti. Vi verrà negata quella maglia azzurra, che magari finisce sulle spalle di qualcuno meno talentuoso. Deve fare un male cane, ma devi far finta di nulla per non passare per un lamentoso vittimista o, peggio, uno con grilli politici per la testa.
Pensate a tutto questo e poi pensate all’immonda sceneggiata, che sembra essere andata in scena a Perugia. Non c’è bisogno di chiedersi cosa potrà pensare quel ragazzo. Non c’è bisogno di sottolineare il devastante effetto di questa cialtronata collettiva. Aspettiamo le indagini e gli sviluppi che oggi non possono essere esclusi, ma che ci interessano fino a un certo punto. Perché la sostanza è già lì, a colpirci come un cazzotto allo stomaco.
La tragicommedia-Suarez lascia uno sgradevole senso di già visto e sentito. È l’Italia ottusa, servile e burocratica, pronta a correre in soccorso del ricco e potente di turno. Fortissima e severa con i deboli e ossequiosa fino all’imbarazzo con i forti. Quanto ai ragazzi, da cui siamo partiti e a cui dedichiamo queste poche righe, per loro c’è il rigido rispetto delle regole e il volto arcigno della burocrazia. Che vergogna, in tutte le lingue del mondo