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Trump, Israele e il jolly Rihad. Parla Peri (ex direttore Shin Bet)

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Si giocherà a Rihad il futuro della partita americana in Medio Oriente. Se il presidente Donald Trump riesce a convincere l’Arabia Saudita a normalizzare i rapporti con Israele, “l’Iran finisce in un angolo”. Parola di Yaakov Peri, già ministro della Scienza, dal 1989 al 1994 direttore dello Shin Bet, i Servizi segreti israeliani. A Formiche.net l’ex capo degli 007 spiega perché, se anche la Mecca inizia a parlare con Gerusalemme, il piano della Casa Bianca può davvero cambiare le sorti della regione.

Peri, c’è chi parla di un nuovo Medio Oriente.

Troppo presto. È un accordo storico, non c’è dubbio, e credo che lo sottoscriveranno altri Paesi della regione.

Quali?

Ci sono altri emirati pronti ad unirsi. Ovviamente il game-changer è l’Arabia Saudita. Non lo farà subito, ma è sulla giusta strada. Se Rihad si unisce, cambia tutto.

Perché è così rilevante quest’intesa?

Per tre ragioni. Sono Paesi economicamente forti, che hanno solo di recente investito nel loro sviluppo tecnologico. L’accordo darà il via a un’ondata di turismo da Abu Dhabi, Dubai, Manama. Aprirà nuove partnership nel mondo del business, e metterà a disposizione degli Stati del Golfo l’ingegno e la tecnologia israeliana. Ma soprattutto, per la prima volta Israele avrà dei partner contro l’Iran.

Non c’è il rischio di un doppio gioco?

No, qui non si tratta solo di affari. Israele non è più sola a sopportare e respingere gli abusi di Teheran. Ha nuovi alleati in Medio Oriente che sono geograficamente vicini all’Iran e gli si oppongono a volto scoperto.

Non ci stiamo dimenticando della Palestina?

È un problema serio. I palestinesi si sentono traditi da questo accordo, lotteranno in tutti i modi per affondarlo. Cercheranno di costruire una coalizione araba per fermare questo processo, speriamo non ci riescano. Dalla nostra, abbiamo la simpatia di diversi altri Stati, come l’Egitto. E poi abbiamo gli Stati Uniti.

Temete un’escalation a Gaza?

Probabile. Hamas risponde all’Iran, che è su tutte le furie. Nei prossimi giorni, dalla West Bank, vorranno mandare un segnale, dire “siamo qui”, ricordare che il problema palestinese non è stato risolto.

Che reazione aspettarsi da Teheran?

Difficile dirlo, stanno ancora studiando la loro prossima mossa. Ci sarà un aumento di aggressività, spero rimanga nell’ambito delle minacce verbali. I Pasdaran si muoveranno attraverso le forze proxies. Hezbollah, Hamas, Fatah.

Sullo sfondo c’è il Piano di pace fra Israele e Palestina dell’amministrazione Trump. Finora è rimasto sulla carta.

I palestinesi non sono pronti al compromesso, come sempre. È una loro vecchia tattica: rifiutare qualsiasi offerta che non dia loro l’intero pacchetto. Ma hanno sottovalutato un fattore: quell piano ha già il sostegno degli Stati arabi.

Ufficialmente ne hanno preso le distanze.

Ufficialmente, appunto. Ma, per usare un eufemismo, in verità non sono grandi amici dei palestinesi. Devono tuonare e dire che il problema della Palestina va risolto. Nei fatti, non ostacoleranno Israele.

Peri, mancano meno di due mesi alle elezioni presidenziali americane. Israele tifa per Biden o Trump?

Biden è un amico di Israele, ma tanti, a cominciare da Bibi, sperano in una vittoria di Trump. La sua amministrazione, Kushner su tutti, ha fatto un grande lavoro, e il presidente è uno dei più grandi amici e simpatizzanti di Israele. Se perdesse, ci troveremmo in una condizione un po’ meno conveniente.

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