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Navi e diplomazia. La doppia tattica turca nel Mediterraneo

Khashoggi, Turchia erdogan

Che il rientro al porto di Antalaya della Oruc Reis non fosse una ritirata era piuttosto chiaro. La nave turca per l’esplorazione di idrocarburi che per settimane ha bazzicato le acque di Kastellorizo, specificava la Difesa di Ankara, era tornata al porto per ragioni tecniche. Con essa le navi scorte della marina militare.

Oggi la Turchia ha emesso un nuovo avviso ai naviganti (Navtex) nel mar Egeo, in cui denuncia una violazione da parte della Grecia dello status di Chios come isola non militarizzata, previsto dal trattato di Losanna del 1923. L’isola si trova a poche miglia dalla costa turca di Cesme, nella provincia di Smirne, dalla cui stazione è stata emessa la comunicazione sulle restrizioni alla navigazione.

Tanto per chiarire insomma che i colloqui che sono iniziati in ambito Nato con la Grecia sono parte della crisi, non la soluzione. Almeno per ora. Atene è il rivale turco di prossimità, i due membri dell’alleanza sono divisi da ragioni storiche di carattere territoriale che si sono infiammate nuovamente per via delle recenti scoperti di reservoir energetici nel Mediterraneo orientale. Giacimenti che hanno innescato una partita geopolitica dove la Turchia si sente da un lato isolata dall’altro vocata ad agire.

E l’azione turca nelle regione segue esattamente la linea del tira e molla, bastone e carota, show of force e diplomazia, provocazioni e dialogo. Tant’è che mentre ieri, dalla Difesa, Ankara sottolineava che non avrebbe rinunciato a un millimetro di quanto rivendicato – a maggior ragione adesso – oggi sulle pagine del Kathimerini, quotidiano greco, il ministro degli Esteri turco s’offriva come portavoce della volontà di avviare un dialogo sereno tra vicini. Sulla colonna a fianco, l’omologo greco rimbalzava: dialogo, ma rispetto.

D’altra parte, la Turchia è ormai proiettata nel Mediterraneo e oltre. Dal coinvolgimento libico in poi questo approccio tattico-strategico è diventato chiaro. La diplomazia di Ankara si abbina ad azioni militari dirette (vedere la Libia, appunto, o il nord siriano) alle quali i turchi non hanno rinunciato. Uno status costruito con la forza e che permette alla Turchia di sembrare molto più forte di quanto non sia – vedere lato crisi economica –, sfruttare le debolezze degli avversari e aprire contatti pragmatici come quelli che pare siano stati avviati con l’Egitto (rivale anche nel quadro dell’East Med, oltre che nel fronte intra-sunnismo).


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