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Come affrontare un nuovo (eventuale) lockdown. Lo spiega Pennisi

L’Osservatorio dei Conti Pubblici dell’Università Cattolica ha pubblicato un interessante studio di Giampaolo Galli e Giulio Gottardo sui differenti effetti della crisi economica provocata dal coronavirus. La crisi è stata di proporzioni inimmaginabili: mediamente ha riportato, in sei mesi, il Pil dei maggiori Paesi industrializzati a quello di venti anni. Ma – si chiedono Galli e Gottardo – perché la Spagna ha subito una contrazione del quasi del 23% e la Germania dell’11,5%? Le differenze nascono da determinanti strutturali relative alle strutture economiche dei due Paesi o alle politiche ed alle misure messe in atto?

Sono domande tanto più pertinenti dato che i numerosi focolai della pandemia nelle ultime settimane e l’apertura delle scuole dal 14 settembre fanno temere una seconda ondata e, quindi, la necessità di misure per contenerla. Misure da tarare con cura per giungere ad un equilibrio tra contrasto della pandemia e freni (ulteriori) all’economia.

Lo studio di Galli e Gottardo, basato su dati Ocse, esamina tre aspetti in particolare: le politiche di lockdown (che pur avendo elementi in comune hanno avuto aspetti differenti da Paese a Paese), le implicazioni della paura del contagio sui comportamenti, la composizione settoriale dell’economia (particolarmente per quanto attiene al ruolo di servizi come il turismo). Le differenze tra Paesi in termini di effetti economici della pandemia sono riconducibili a tre fattori principali: la durezza delle politiche di contrasto alla diffusione del virus, l’effetto della paura del contagio sul comportamento delle persone e la composizione settoriale delle economie stesse. La presenza di un “effetto paura” relativamente forte sulla crescita del Pil rende il trade-off tra misure anti-Covid-19 e salvaguardia dell’economia più complesso. I lockdown hanno inevitabilmente contribuito alla recessione ma, salvando vite, hanno anche contribuito ad attenuare la paura delle persone. Occorre quindi trovare una giusta via di mezzo: convivere col virus con adeguata prudenza. Infine, le stime suggeriscono che gli effetti settoriali siano stati importanti, giustificando le misure da hoc che sono state prese in vari Paesi a sostegno dei settori più colpiti, a cominciare dalla filiera del turismo.

In questi giorni è anche riemerso un libro curato da Peter Hall (un politologo) nel 2001, “Varieties of Capitalism”, in cui si traccia una tassonomia tra il capitalismo liberale di mercato (Canada, Gran Bretagna, Stati Uniti) ed il capitalismo “coordinato” (Paesi scandinavi, Olanda, Austria). Gran parte dei Paesi dell’Europa continentale ondeggiano tra questi due modelli. Nell’ultimo fascicolo del settimanale The Economist si analizza la risposta alla pandemia ed alla crisi economica che ne è conseguita: in Gran Bretagna e negli Stati Uniti è stata caotica più che confusa, mentre nei Paesi a capitalismo “coordinato” è stata più efficace sia nel contenere il numero delle vittime sia nel limitare i danni al sistema economico. Tuttavia, i Paesi di capitalismo liberale di mercato stanno dando maggiore prova di innovazione. Dei 34 vaccini in fase di studio censiti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, 13 sono frutto di studi e ricerche in Paesi a capitalismo liberale di mercato e solo 4 dei Paesi a capitalismo “coordinato”. Gli altri sono alla studio da Paesi come Federazione Russa e la Repubblica Popolare Cinese che non appartengono a nessuna di queste due categorie, ma a quella del capitalismo “politico” in cui si ignorano le libertà ed i diritti umani fondamentali.

Che indicazioni trarre da queste considerazioni in caso di inasprimento della situazione? Una strategia incrementale e flessibile di lockdown mirati e parziali e di una comunicazione che non spaventi.


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