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Unione europea e Italia alzino la testa davanti all’Iran. Scrive Giulio Terzi

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La notizia dell’impiccagione del wrestler iraniano Navid Afkari, sabato scorso, ha segnato l’ennesima giornata di lutto nella storia di un regime malvagio che da più di quarant’anni non perde occasione di mostrare il proprio disprezzo per i valori di libertà, giustizia, democrazia e stato di diritto.

A nulla sono valsi le mobilitazioni e i numerosi appelli della società civile di tutto il mondo, della comunità sportiva internazionale, e persino l’accorato appello del presidente statunitense Donald Trump con un suo tweet. Il regime più terrorista e assassino del mondo ha incrementato il record assoluto di Paese con più esecuzioni capitali in rapporto alla popolazione. E, soprattutto, la teocrazia iraniana ha riaffermato — sentendosi sempre più vacillante — la sua totale intolleranza verso qualsiasi forma di dissidenza o semplicemente di critica: interna o esterna.

Le imputazioni a Navid, arrestato con due suoi fratelli condannati rispettivamente a 54 anni e 74 frustate l’uno, e 27 anni e 74 frustate l’altro, riguardavano l’uccisione di un agente infiltrato tra i manifestanti antiregime durante gli scontri di piazza dell’agosto 2018. Un capo d’accusa fondato su “confessioni” rilasciate sotto  torture indicibili dei fratelli Afkari. Alcuni stralci delle “confessioni” erano stati diffusi dalla stampa di regime a inizio settembre; con lo scopo di contrastare la crescente indignazione mondiale.

Il processo è stato, come sempre, una tragica “farsa”: senza alcuna prova di colpevolezza.

Terrore e repressione sono fondamentali armi di sopravvivenza, credono gli ayatollah. Soprattutto in tempi in cui il malcontento popolare verso il regime è dilagante e pervasivo. Come non ricordare l’imponente schieramento di forze speciali del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche e del ministero dell’Intelligence e della sicurezza (Mois) contro le centinaia di manifestazioni dello scorso novembre? Cecchini appostati sui tetti e agenti antisommossa che sparavano ad altezza d’uomo hanno ucciso 1.500 manifestanti, ferendone più di 8.000. Torture, uccisioni arbitrarie nelle carceri, esecuzioni dei manifestanti arrestati, hanno costituito la risposta del regime ai pressanti appelli rivolti dall’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani, dal Consiglio Onu per i diritti umani a Ginevra, dall’Assemblea generale Onu a New York alle preoccupazioni dei relatori speciali Onu per l’Iran, dalle principali Ong — come Nessuno Tocchi Caino e Amnesty international — oltre che da una vastissima comunità di iraniani — oltre cinque milioni di persone — sparsi in tutto il mondo.

È giunto il momento per la Comunità internazionale, specialmente Nazioni Unite e Unione europea modifichino direzione e velocità di marcia; che si impongano con ben diversa determinazione politica e autorevolezza. Ogni silenzio e accondiscendenza aiuta un regime che attraversa da tempo una crescente crisi, per vastità della corruzione interna, dilapidazione di risorse destinate a avventure militari e terroristiche, rivolte generalizzate del popolo iraniano. Un segnale forte deve essere dato al regime.

Un necessario riferimento deve essere fatto dall’Onu e dai governi europei all’istituzione di una Commissione d’inchiesta internazionale per fare luce e consegnare finalmente alla giustizia, tutti i responsabili del massacro perpetrato dal regime nell’estate del 1988. È intollerabile che alcuni di questi assassini – in obbedienza a una fatwa emessa dall’ayatollah Ruhollah Khomeini contro gli oppositori politici – ricoprano ruoli istituzionali e governativi. L’attuale capo della magistratura iraniana, Ebrahim Raisi, e il ministro della Giustizia, Alireza Avaei, erano membri delle “commissioni della morte”; Mostafa Pour-Mohammadi era pure membro della “commissione della morte” che ha portato sul patibolo 30.000 detenuti politici. Egli è ora uno dei più stretti collaboratori del presidente Hassan Rouhani.

Le strade percorribili politicamente sono diverse. La decisione della Germania di cancellare gli incontri con il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif – in occasione del suo giro di visite in Europa poi annullato in queste ore – rappresenta un concreto esempio. Ma è sempre grave che persino in un caso orrendo e offensivo per le nostre coscienze come quello di Navid Afkari i capi di governo europei, i loro ministri degli Esteri — specialmente il ministro Luigi Di Maio, data la sua consuetudine di rapporti intensi con il regime teocratico — e lo stesso capo della diplomazia europea, Josep Borrell, abbiano lasciato alle frasi sussurrate dei rispettivi portavoce la condanna, l’esecrazione, le misure politiche ed economiche che devono essere espresse su questo caso, coda di un gigantesco fiume di sangue iraniano e non solo, che silenzio e appeasement non fanno che alimentare.

Solo una coincidenza, ma assai significativa, è la decisione della magistratura svizzera di rilanciare l’azione giudiziaria contro dodici killer iraniani, mandati da Teheran a Ginevra nel 2000 per uccidere l’allora ex ambasciatore iraniano alle Nazioni Unite Kazem Rajavi, e di rubricare tale assassinio quale crimine contro l’umanità, o come genocidio, perché collegato al Massacro del 1988. Un’ottima base di partenza, che deve essere seguita da sanzioni nei confronti dei responsabili, dalla loro traduzione in giudizio, così come dalla chiusura di quelle ambasciate iraniane che svolgono attività di spionaggio in territorio europeo, e che da sempre fungono da quartier generale e copertura per tutte quelle operazioni “segrete” del regime, che rientrano nell’attività più generale di esportazione del terrorismo nel mondo.

Risultati concreti si otterranno soltanto se l’azione sarà concertata sia a livello interno sia esterno all’Unione europea. Ed è in tale prospettiva che l’atteggiamento adottato negli ultimi anni dal nostro Paese è diventato davvero insostenibile, dapprima alla ricerca di facili vantaggi commerciali di un el dorado inesistente e in seguito concedendo una piattaforma mediatica, quasi privilegiata, di disinformazione e propaganda al “megafono” di un regime con le mani impregnate di sangue; primo sponsor del terrorismo e nemico di quei valori di democrazia, giustizia e stato di diritto che sono alla base della nostra società.


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