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Mai più uomini contro. Ciccotti spiega perché rivedere il capolavoro antimilitarista di Rosi

“A terra! Una pattuglia austriaca! Rispondete al fuoco solo quando riusciti a vederli! Allo scoppio ci ritiriamo”. Tutto lo schermo è buio, ogni tanto boati e razzi accecanti squarciano il nero pece della notte, scagliando frecce di lampi sugli elmetti  di latta, flash fulminanti che disegnano  le sagome umane che ora si agitano per ripararsi, ora sono accartocciate in terra, da sembrare masse informi. Ci tornano in mente i versi di Giuseppe Ungaretti, che con i corpi straziati, le bocche digrignate e le mani congelate dei commilitoni morti nelle trincee, portava il cubismo e l’espressionismo dentro la letteratura.

Improvvisamente si sente il grido: “Kamarad kamarad kamarad!”. Un soldato tenta di offrirsi come prigioniero, convinto di arrendersi agli austriaci, ma finisce nelle mani dei suoi connazionali e commilitoni. Scoperto nel suo tentativo di diserzione, dichiara di essersi perso. Verrà arrestato. Nella scena successiva il comandante, il folle generale Leone (il superbo e spettrale Alain Cuny) decide di far fucilare un soldato-esploratore che per errore, creando un semplice falso allarme, ha dato l’ordine di mettersi al riparo per tutto il battaglione in ritirata. Ma il tenente Ottolenghi (Gian Maria Volonté, la sua interpretazione eguaglia quella di Kirk Douglas in Orizzonti di gloria, 1957) fa sparare in aria e porta al generale, su una barella, il corpo di un soldato morto durante un vano attacco contro gli austriaci, recuperato tra il petroso Carso (ma siamo sul set della rocciosa Croazia).

Questo l’inizio di Uomini contro (Francesco Rosi, 1970) il più bel film italiano contro la guerra mai realizzato (insieme a La grande guerra di Mario Monicelli – 1959), che più ha demistificato la Grande Guerra. Il film, tratto dal toccante romanzo di Emilio Lussu, Un anno sull’altipiano (1936, pubblicato in Francia per via del fascismo), ricordando l’“inutile strage” (Benedetto XV) di 9 milioni di soldati e di 7 milioni di civili, alludeva anche alla inutile guerra che si combatteva in Vietnam. Sarebbe subito divenuto, Uomini contro, una pietra miliare del cinema al servizio della storiografia, della verità storica, nonché una delle migliori trasposizioni da avantesto letterario in film. La “traduzione” di Rosi rimane fedele ai principali passaggi del romanzo, tranne per la tecnica narrativa: dalla prima persona del romanzo di Lussu si passa ad una narrazione oggettiva in stile realistico.

Diverse sono le scene da ricordare. Per tutte parlano le due celebri sequenze, di due rispettivi inani attacchi, dall’esito disastroso, dei fanti italiani contro la postazione austriaca, posizionata sul Monte Fior, che dall’alto mitraglia a tutto campo. La prima è quella in cui i soldati vengono rivestiti da ridicole corazze di latta che avrebbero dovuto proteggerli e invece vengono bucate come cartoni. La seconda è quella in cui ad un altro reparto è ordinato di attaccare contro ogni logica: i fanti sono allo scoperto e vengono falciati appena si muovono, cadendo come birilli. A quel punto i soldati austroungarici, che mitragliano, si fermano per alcuni minuti e gridano: “Basta soldati italiani, non vi fate uccidere così!”.

Francesco Rosi esibisce una regia plastica nel muoversi in ampi spazi, e nel dirigere un gran numero di comparse, facendoci venire in mente il cinema epico-socialista di Sergej Bondarciuk (Guerra e pace, 1957; Waterloo, 1970; Hanno combattuto, 1975). Egli ricorre a uno stile ricco di soluzioni; passa, per esempio, con rapidi glissati, dal dettaglio o dal primo piano, a sontuose panoramiche sul campo di battaglia, con i caduti sul terreno: sono squarci  narrativi che sollecitano rimandi ai campi lunghissimi di un John Ford o di un Andrej Wajda.

In questo tormentato inizio di terzo millennio, in cui vi sono tensioni di guerre regionali ovunque, dal Mediterraneo, con la Libia miccia accesa a lento rilascio e la tensione crescente tra Turchia e Grecia, alla penisola della Corea, sino al cuore dell’Africa, sarebbe bene che i politici e i presidenti dei Paesi non dimenticassero la lezione della Storia. Un ripasso della Storia che si può ripercorrere anche attraverso la fiction, ri-vedendo quei capolavori del cinema come Uomini contro, per capire come noi tutti, abitanti del pianeta, dovremmo essere sempre uomini insieme.

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