“Chiediamo ai nostri alleati e partner di tutto il mondo di aumentare il bilancio della difesa ad almeno il 2% del Pil e di effettuare gli investimenti necessari a rafforzare le loro capacità, proprio come stiamo facendo con le nostre Forze armate”. È l’ultima di una serie di richieste pervenute al Vecchio continente da Washington, questa targata Mark Esper, capo del Pentagono, e arrivata mercoledì scorso durante un evento organizzato dal think tank Rand corporation. Chiodo fisso dell’amministrazione guidata da Donald Trump sin dal suo insediamento, l’obiettivo stabilito nel 2014 ha visto come primo destinatario negli ultimi anni soprattutto Berlino. “Se spendesse il 2% del Pil nella difesa, la Germania diventerebbe la maggior potenza militare europea nell’arco di cinque anni e questo i tedeschi non lo vogliono”, commenta a Formiche.net l’ambasciatore Stefano Stefanini. Eppure, nota invece Andrea Gilli, Senior researcher del Nato defense college, “in un’era di competizione tra grandi potenze, soprattutto in ambito tecnologico, gli investimenti acquisiscono particolare importanza; ciò vale oggi ma varrà ancora di più negli anni a venire”.
ALLEANZE PIÙ SOLIDE E MAGGIORI RISORSE PER LA DIFESA
Le ultime strigliate agli alleati arrivano dal capo del Pentagono, che ha spiegato come la “aggressività revisionista di Russia e Cina” impone maggiori risorse per la difesa e un rafforzamento delle alleanze già in essere. “Ritengo – ha detto Esper – che la nostra robusta rete di alleanze e partenariati sia uno dei nostri più grandi vantaggi, che impongono un costo a paesi come Russia e Cina: loro non ne hanno quasi nessuna, e noi ne abbiamo molte. Quando la Cina deve pensare a un potenziale conflitto con gli Stati Uniti, non può pensare solamente agli Stati Uniti: deve pensare a Stati Uniti, Giappone, Australia, Corea, Singapore e altri”. L’obiettivo dichiarato è quello di dar vita ad un nuovo modo di fare alleanze che, a differenza del modello bilaterale, privilegi la creazione di una rete di alleanze collettive multilaterali.
LA RIPARTIZIONE DEL FARDELLO…
Un’idea, quella delle alleanze multilaterali promossa da Esper, che presume una non irrilevante disponibilità degli alleati a ripartirsi i costi della difesa o del “fardello”, volendo riprendere una terminologia utilizzata all’interno dell’Alleanza Atlantica. Proprio in questa cornice nel settembre 2014, per dimostrare la propria risolutezza nei confronti dell’azioni russe in Ucraina, i capi di Stato e di governo dell’Alleanza decidevano di impegnarsi a spendere il 2% del Pil in spese militari entro il 2024. A quattro anni dalle scadenze prefissate, però, per molti Stati l’obiettivo resta ancora lontano. Secondo i dati del report sullo stato dell’istituzione atlantica diffusi dal segretario generale dell’Alleanza Jens Stoltenberg lo scorso marzo, solo nove Stati membri hanno raggiunto già l’obiettivo previsto: Stati Uniti (che da soli coprono oltre il 70% dei circa mille miliardi di dollari spesi dai Paesi Nato in difesa), Regno Unito, Bulgaria, Grecia, Estonia, Romania, Lituania, Lettonia, Portogallo e Polonia. Non va meglio nemmeno se si guarda all’altro parametro stabilito in Galles, ovvero l’obiettivo di destinare un quinto delle spese militari nazionali agli investimenti per equipaggiamenti major, incluso il settore Ricerca e sviluppo. Gli unici Stati, oltre agli Usa, ad aver già raggiunto i due obiettivi sono: Regno Unito, Bulgaria, Romania, Lettonia, Lituania e Polonia.
… E LA QUESTIONE GERMANIA
Resta esclusa dal club dei più virtuosi, quasi a sorpresa data la sua solidità economica, la Germania. Bersagliata da Trump per le mancate spese militari ma determinata a non inasprire oltremodo le relazioni con Washington a danno dell’Alleanza, Berlino sembra aver deciso di cambiare rotta. In due interviste rilasciate lo scorso novembre rispettivamente a Reuters e alla rivista tedesca Die Welt, la ministra della Difesa della Repubblica federale Annegret Kramp-Karrenbauer ha sottolineato l’importanza di aumentare i fondi per la difesa: “Abbiamo bisogno di spendere 1,5% del Pil in difesa entro il 2024 e raggiungere il 2% entro il 2031”, aveva detto la ministra in quelle occasioni. Nonostante la buona volontà dimostrata, la recente decisione di Trump di ritirare le truppe statunitensi dalla Germania potrebbe essere un segnale piuttosto scoraggiante per Berlino. A questo si sono aggiunte le rivelazioni rilasciate da un portavoce del ministro della Difesa di Berlino a DefenseNews, lo scorso agosto, riguardo una certa reticenza di fondo di Akk nei confronti degli obiettivi del Galles. Secondo quanto si legge, anche a causa degli inevitabili contraccolpi economici generati dalla pandemia, Kramp-Karrenbauer starebbe cercando di sostituire l’obiettivo del 2% con la nuova soglia del 10%: il progetto prevederebbe che ogni Stato membro dovrebbe far fronte ad almeno il 10% dei bisogni dell’Alleanza, senza distinzioni tra le cosiddette 3C (cash-capability-contribution). Se ciò venisse approvato, ad esempio, anche gli Stati con minori investimenti nella difesa ma con maggiori capacità e con un maggiore contributo alle missioni comuni riuscirebbero a rispettare i vincoli.
I PROBLEMI TRA WASHINGTON E BERLINO
“Gli americani hanno pienamente ragione nel chiedere agli europei di fare di più per la propria difesa”, ci ha spiegato l’ambasciatore Stefano Stefanini, senior advisor dell’Ispi, già rappresentante d’Italia alla Nato. “Il problema della Germania però non è tanto la spesa, meno del 2% certo, ma in termini assoluti non trascurabile dato il Pil tedesco, ma la riluttanza tedesca a impegnarsi militarmente in missioni Nato e altre, nonché il grado di preparazione delle loro forze armate”. Per Berlino il problema è “l’inverso di quello italiano – ha aggiunto Stefanini – noi spendiamo meno dei tedeschi in percentuale di Pil e in assoluto, ma siamo quasi sempre disponibili nelle missioni, che è un importante segno di responsabilità nel contribuire alla sicurezza collettiva; questo gli americani lo apprezzano”. Dunque, ha rimarcato l’ambasciatore, “il vero motivo per cui Washington ha nel mirino Berlino ha più a che vedere con i difficili rapporti bilaterali fra quest’amministrazione americana e la Germania di Angela Merkel; non era così con Obama”. Dunque, “il 2% è un criterio utile e un impegno preso da tutti i Paesi Nato; attenti però a farne una religione”, spiega Stefanini. Difatti, “se spendesse il 2% del Pil nella difesa la Germania diventerebbe la maggior potenza militare europea nell’arco di cinque anni; arriverebbe presto a superare la Russia (basta fare i conti)”. I tedeschi “non lo vogliono per motivi storici – ha chiosato – ed è una scelta che dovremmo rispettare”.
IL COMMENTO DI GILLI
“La questione del burden-sharing dentro la Nato è vecchia come l’Alleanza, quindi, nei contenuti, niente di particolarmente nuovo”, ha detto Andrea Gilli in riferimento a questa vicenda. “I toni – ha aggiunto – cambiano nelle varie fasi politiche, in tutte le direzioni: c’è la richiesta verso tutti gli alleati di spendere di più in difesa, ma anche il loro impegno, sancito dopo l’annessione illegale della Crimea da parte della Russia, a raggiungere questi obiettivi. Ovviamente, la pressione è maggiore verso Alleati che per dimensioni e performance economica possono sobbarcarsi maggiori spese”. Due aspetti a latere – ha concluso Gilli – riguardano il metro da usare per valutare gli sforzi degli Alleati: “spendere 100 e non partecipare ad alcuna missione vale di più o di meno di spendere 50 e partecipare a tutte le missioni?”.