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Vega torna nello Spazio. Il racconto del suo debutto firmato Mario Arpino

Vega, il lanciatore europeo che parla italiano, per la sedicesima volta è partito dalla rampa di lancio di Kourou, nella Guyana francese, pronto per una nuova avventura. Dopo la disfunzione nel lancio precedente, brillantemente individuata e rapidamente superata, la muta emozione degli addetti ai lavori nella lunga attesa sarà stata paragonabile a quella del primo lancio, il 13 febbraio del 2012. Allora si era sbloccata con il prorompere liberatorio di un poderoso Inno di Mameli solo all’annuncio del raggiungimento dell’orbita, otto minuti dopo la fine del countdown.

Tutti conoscono, perché di solito ampiamente pubblicizzate, le due componenti “brillanti” del sistema: il lanciatore e quelle piattaforme spaziali che chiamiamo satelliti. Pochi sanno, al contrario, che cosa esattamente sia il segmento terrestre, ovvero quella “oscura” componente abilitante del sistema che consente alle altre due l’accesso allo spazio. Possiamo dire che il “ground segment” è tutto ciò che permette al vettore di essere montato correttamente, rifornito, controllato, lanciato e seguito sia nella traiettoria atmosferica, sia in quella spaziale. Per quanto riguarda i satelliti, questo terzo elemento rappresenta tutto ciò che serve per posizionarli e seguirli, per poi ricevere, disseminare e validare i dati trasmessi.

Una decina d’anni prima di quel lancio, le due gare internazionali emesse dall’Agenzia Spaziale Europea (Esa) erano state vinte da due Società italiane, la ELV di Colleferro (Gruppo Avio) per il vettore Vega e la Vitrociset di Roma che, in qualità di capo-commessa, aveva poi progettato e realizzato a Kourou il segmento terrestre. Ovvero la rampa di lancio, la stazione di assemblaggio e il banco di controllo remoto. Può essere interessante per il lettore sapere che la meccanica operativa di una campagna di lancio Vega, vista con gli occhi del responsabile del ground segment, è grossomodo la seguente. Le componenti del vettore, che, a differenza di Soyuz, si montano verticalmente l’una sull’altra all’interno della stazione (torre mobile alta 45 metri e pesante oltre 1000 tonnellate), vengono prima testate singolarmente e, successivamente, come sistema. Questa fase dura diverse settimane. Per ultima, viene montata la componente che ospita il carico pagante. Questo al primo lancio era costituito un satellite scientifico Lares (fisica gravitazionale), un microsatellite Almasat per dimostrazione tecnologica e sette nanosatelliti (cubesat) costruiti da varie Università.

Quando anche i dispositivi di rilascio sono testati e la finestra di lancio è stabilita, inizia il “conto alla rovescia”, che altro non è se non l’ultima serie di controlli e di azioni abilitanti. Due ore prima del lancio la torre mobile viene fatta arretrare sui binari di circa 70 metri, lasciando il vettore isolato, ma ancora collegato al sistema di terra con una sorta di cordone ombelicale. Nove secondi prima del lancio anche questo si stacca, ma al banco di controllo remoto resta la responsabilità (non lieve) di azionare eventualmente il dispositivo di autodistruzione e di seguire i dati telemetrici. Dopo solo otto minuti di fase atmosferica la componente con il carico pagante è già in orbita, pronta a raggiungere le posizioni per il rilascio fasato dei satelliti.

Realizzare il sistema Vega nel suo complesso, lanciatore e segmento di terra, ha richiesto una decina d’anni di lavoro (sempre ben fasato tra ELV e Vitrociset), grande professionalità ed anche tanta pazienza. Oggi Vitrociset, recentemente assorbita da Leonardo, non esiste più come realtà societaria privata. Sono però certo che, come i colleghi di ELV, anche gli ingegneri e tecnici dei Vega-teams che hanno realizzato il segmento terrestre difficilmente si scorderanno la data del 13 febbraio 2012 e l’emozionante avventura di Kourou.


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