Un accordo tra Tokyo e Londra che va dal commercio alle infrastrutture che si sintetizza nel confronto alla Cina. Particolare attenzione al quadro di intelligence, con il Giappone che si integra ancora nel 5 Eyes, spiega Galietti (Policy Sonar)
Regno Unito e Giappone hanno siglato un accordo di libero scambio dove più che il valore dei termini dell’intesa in sé pesa il senso politico e geopolitico che si porta dietro. A cominciare dalla grammatica usata nel comunicato congiunto, dove Tokyo e Londra dimostrano forte coesione e affidamento reciproco. È la prima intesa post-Brexit per gli inglesi, e questo è una dimensione simbolica del deal, che potrebbe aprire la strada all’adesione di Londra al Trans-Pacific Partnership (Tpp) – accordo da cui l’amministrazione Trump ha sottratto gli Usa, che Tokyo vuole tener vivo facendosi fulcro alternativo, e su cui Washington non è escluso cambi rotta.
Punto centrale nell’intesa anglo-nipponica sta nella condivisione di dati e informazioni: sintomo dell’aumento della fiducia tra anglosfera e Tokyo, certe condivisioni hanno enorme valore nel quadro dell’intelligence (di ogni genere, da quella militare, securitaria a quella economica, industriale e commerciale). “L’accordo dimostra che il club Indo-Pacifico, di cui fanno parte altre potenze del Commonwealth, è una robusta base su cui edificare intese di ogni tipo. Economiche, ma anche di intelligence visto che il Giappone è membro ormai stabile del 6-Eyes, integrando il Five Eyes anglo-americano”, spiega a Formiche.net Francesco Galietti, analista di scenari geopolitici, fondatore e Ceo della società specializzata di consulenza Policy Sonar.
Il Five Eyes è l’alleanza per la condivisione di informazioni di intelligence che collega i paesi dell’anglosfera: capitanata dagli Stati Uniti, comprende il Regno Unito, l’Australia, la Nuova Zelanda e il Canada, ma da tempo vede il Giappone perfettamente ingrato nel sistema – e da altrettanto tempo si parla della possibilità che Tokyo vi aderisca in forma istituzionalizzata. Ora il focus del blocco è contrastare la Cina, contenimento necessario per tutti i vari Paesi attorno cui ruotano gli interessi nazionali reciproci. In questo l’invito giapponese affinché Londra torni a far parte del Tpp trova due vettori: il primo la possibilità che Joe Biden, eventuale vincitore di Usa2020 rinvigorisca l’intesa creta dall’amministrazione Obama; il secondo è la possibilità che questa intesa geoeconomica sia considerata da Washington un altro vettore anti-Cina da sommare ad altri come il Quad (altro blocco geopolitico di cui Londra non fa parte).
L’asse nippobritannico si è recentemente rinsaldato anche sul 5G: la giapponese Nec lavorerà all’implementazione del 5G britannico. Come spiegato nei giorni scorsi da Formiche.net, la mossa del governo di Boris Johnson è pensata per dare due risposte: una (esterna) agli Stati Uniti impegnati in una campagna contro i “fornitori non di fiducia” (cioè le cinesi Huawei e Zte) per ragioni di sicurezza nazionale e degli alleati; una (interna) ai deputati che chiedono al governo di mettere il turbo e anticipare di due anni (cioè al 2025) i piani per l’addio delle apparecchiature Huawei nel 5G del Paese.
L’accordo tra Regno Unito e Giappone dovrebbe rappresentare, quantomeno nella visione del governo britannico, il primo di una lunga serie di patti destinanti a definire il futuro post Brexit del Paese: in pratica, il primo tassello della Global Britain. Una visione ottimistica dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea a cui ha sempre fatto dal contraltare l’idea di una Little Britain. Addirittura nella Scozia europeista di una Little England. Come se la Brexit potesse minacciare l’unione del Regno. Ed è per questo che annunciando l’accordo con Tokyo, il governo di Londra ha dedicato ampio spazio a rassicurare la Scozia decantando i benefici dell’intesa per l’export di salmone, manzo, agnello e ovviamente whisky verso il Giappone.
Basterà a rassicurare gli scozzesi e a sedare gli istinti indipendentisti? Difficile dare una risposta. Ci possiamo soltanto limitare a osservare come il governo scozzese abbia definito l’intesa “uno sgradito precedente”: secondo il ministro al Commercio scozzese Ivan McKee, esponente di quello Scottish National Party che deve gran part delle sue fortune alla battaglia indipendentista, “il fatto che il governo britannico stia spendendo così tanto tempo ed energie cercando di replicare i vantaggi dell’adesione all’Unione europea mette in luce quanto la Scozia abbia perso per essere stata portata fuori dall’Unione europea contro la sua volontà”.