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Cosa suggeriscono i salti a Cinque Stelle di Appendino e Raggi. La lezione di Pasquino

Sono certo che Chiara Appendino fosse consapevole di almeno alcune delle conseguenze della sua decisione di non ripresentarsi alle elezioni comunali di Torino nel 2021. La personale auto-ri-candidatura di Virginia Raggi a Roma è stata subito respinta dal Partito democratico e accolta da un non elevatissimo grado di entusiasmo di alcuni autorevoli esponenti del Movimento 5 Stelle. Probabilmente, ben consigliata, Appendino ha tenuto conto della necessità del Movimento di essere in condizione di trattare con il Partito democratico senza imporre prioritariamente una candidatura. Appendino avrà certamente altre opportunità. La tempestosa amministrazione di Roma da parte di Raggi non le garantisce un futuro politico e, allora, tanto vale tentare la sorte una seconda volta. Purtroppo, non è pensabile nessuno scambio tipo il Pd appoggia Raggi, non può proprio permetterselo, anche se vedendo molti dei nomi che ambiscono al Campidoglio, non tutti, Raggi non è proprio da scartare, e i Cinque Stelle sostengono una candidatura Dem a Torino. La legge elettorale per i sindaci si dimostra notevolmente efficace per discutere di alleanze e tradurle in pratica. Infatti, il doppio turno con ballottaggio consente ai partiti, alle candidate(i) e, soprattutto, agli elettori di valutare, scegliere al primo turno e, infine, eleggere al ballottaggio, spesso, ovviamente, la candidatura meno sgradita. Incidentalmente, il doppio turno contiene alcune importanti lezioni per i riformatori elettori che sappiano imparare.

Naturalmente, pensare alle alleanze per cercare di mantenere e/o ottenere cariche elettive è il segno di una qualche lezione già imparata, soprattutto da parte dei Cinque Stelle. Però, non implica affatto una automatica trasformazione del Movimento in Partito. Anzi, qualcuno dovrebbe suggerire sia a Di Maio sia a Di Battista (e a molti commentatori) che si possono coltivare strategie diverse che non implicano l’abbandono di pratiche movimentistiche per abbracciare usi e costumi tradizionali dei partiti che, fra l’altro, sono da tempo degenerati nei partiti esistenti e ne spiegano le difficoltà. Abbandonare il passato movimentista dovrebbe significare anche dibattere gli inconvenienti e le difficoltà di quel passato. Le decisioni di Raggi e di Appendino sono emblematiche. Il Movimento che si vantava della sua democraticità non è stato neppure interpellato. I suoi aderenti non sono stati consultati. Quando/qualora i Cinque Stelle decidessero per la (complessa e non univoca) trasformazione in partito, la democrazia “interna” funzionerà meglio?

Mi limito a questa notazione con la piena consapevolezza che democrazia e democraticità non sono gli elementi caratterizzanti i partiti italiani. Invece di lasciarsi spintonare verso una difficile e forse persino controproducente istituzionalizzazione, i Cinque Stelle dovrebbero ridefinire le regole che presiedono al loro funzionamento, migliorare le modalità di reclutamento e selezione dei dirigenti e di coloro che si candidano a cariche elettive, affinare i processi decisionali. In modi diversi, le scelte di Raggi e di Appendino, molto diverse fra loro, offrono la grande opportunità di impegnarsi per formulare democraticamente strategie che coinvolgano i loro aderenti e che saranno valutate dai loro elettori. Hic Roma, hic Augusta Taurinorum hic salta.


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