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Cdp e i fondi esteri. Perché (non) c’è un caso Autostrade

Nel capitale di Aspi Cassa Depositi e Prestiti sarà in compagnia di una folta pattuglia di fondi esteri. E a destra c’è chi grida alla svendita e all’invasione. Ma le cose non stanno così, l’Italia avrà ancora la premiership nella società. Ecco perché

Si fa presto a gridare al lupo, al lupo, salvo poi accorgersi che gli ospiti sgraditi (magari non tutti) erano già belli che seduti a tavola e che la bandiera tricolore sventola ancora. Sono ore decisive per il futuro di Autostrade, che si appresta a cambiare definitivamente assetto proprietario, ora che la macchina per l’uscita di scena dei Benetton si è definitivamente messa in moto. Regista dell’operazione, Cassa Depositi e Prestiti, che ieri sera si è fatta ufficialmente avanti insieme ai fondi Blackstone e Macquarie per rilevare l’88,06% di Autostrade per l’Italia in mano ad Atlantia, a sua volta controllata al 30% dalla cassaforte della famiglia Benetton, Edizione.

La palla è passata ufficialmente ad Atlantia, con il board che si è riunito nel pomeriggio per approvare l’ingresso della cordata capitanata da Via Goito, che propone la firma di un memorandum entro il 28 ottobre, per mettere il tutto nero su bianco. Ma ogni operazione industriale che si rispetti, e questa lo è visto che si tratta di subentrare in una società che gestisce asset, la rete viaria primaria, per 10 miliardi, ha il suo piccolo grande caso. E quella appena menzionata non fa certo eccezione.

FONDI ESTERI DENTRO AUTOSTRADE

Tutto ruota intorno alla cordata pronta a subentrare ad Atlantia e allo schema di azionariato che ne deriverà. Il puzzle è complesso. Cassa Depositi e Prestiti non è sola nella partita per Autostrade, in quanto affiancata dal fondo americano Blackstone e da quello australiano Macquarie. Ora, il veicolo per l’acquisto dell’88% di Autostrade sarà verosimilmente così suddiviso: a Cdp una quota del 40%, mentre il restante 60% sarà in mano a Blackstone e Macquarie.

E qui, secondo alcuni, sta il problema. La Cassa sarà il primo azionista ed esprimerà il presidente e l’amministratore delegato, ma non avrà la maggioranza. Anche perché c’è il restante 12% saldamente nelle mani dei tedeschi di Allianz, dei francesi di Edf e dei cinesi di Silk Road i quali, messi insieme ai primi due fondi che hanno il 30% a testa (Blackstone e Macquarie) da un punto di vista di azionariato mettono Cdp in minoranza. Non è tutto. Proprio questa mattina le Fondazioni bancarie azioniste di Cdp al 15% hanno auspicato una futura diluizione di Via Goito in Autostrade, a conferma della volontà di impegnarsi sì, ma in modo circoscritto, il che potrebbe portare Cdp a una discesa nel capitale. Uno schema che alla politica di palazzo non è sfuggito.

A CHI AUTOSTRADE?

C’è chi non ha digerito l’eccessiva presenza di fondi esteri dentro un asset tra i più strategici per l’economia italiana. Da Forza Italia non ha tardato ad arrivare il ruggito contro un’operazione considerata dagli azzurri come lesiva degli interessi italiani. “Noi non siamo d’accordo con la nazionalizzazione di Autostrade, perché riteniamo che la statalizzazione dei grandi asset del Paese sia un cappio al libero mercato e un freno a mano tirato per competitività e sviluppo”, ha tuonato la capogruppo di Forza Italia, Mariastella Gelmini. E “non siamo d’accordo, sul fatto che Cdp avrà una partecipazione del 30-40%, mentre il restante 60-70% sarebbe suddiviso tra la tedesca Allianz, il fondo cinese Silk Road Fund e numerosi fondi di investimento americani e australiani. Oltre 3mila chilometri della nostra rete autostradale sarebbero, dunque, controllata da fondi esteri. Il tutto condito da un lungo stop degli investimenti e da ripercussioni su manutenzione e lavoro. È questo il capolavoro auspicato da Partito democratico e Movimento 5 Stelle?”.

Il vicepresidente dei senatori azzurri, Giuseppe Moles addirittura non riesce “a trovare un senso all’atteggiamento che sta tenendo Cassa Depositi e Prestiti riguardo alla vendita, anche se sarebbe più corretto dire svendita, delle nostre autostrade a degli investitori stranieri. Una delle prime domande che mi sorge spontanea è sapere chi è che tutelerà i 40 mila piccoli azionisti che al momento sono in Aspi?”

Ci sono anche i dubbi dei concessionari riuniti nell’Aiscat, per i quali la presenza di fondi esteri può anche andare bene, se solo si fosse dato modo a tutti gli operatori di partecipare all’ingresso in Autostrade. “Non è in discussione il rispetto e la stima per Cdp, tirata per i capelli dal governo, non è in discussione come non è in discussione il ruolo positivo dei grandi fondi internazionali. Ma non si può tuttavia accettare che una gara in corso non segua la normale competizione di mercato ma venga orientata dall’indicazione del governo di scegliere uno specifico compratore ed i suoi partner, limitando così, di fatto, la partecipazione ad altri competitor per la valorizzazione di uno degli asset più importanti e remunerativi del nostro Paese. Aiscat è assolutamente favorevole al ruolo dei fondi internazionali e, per questo, si batte da sempre per la tutela del legittimo affidamento e per la certezza del diritto, ma ciò deve valere per tutti. Risulta infatti incomprensibile perché, nel pensare al futuro della rete autostradale italiana, il Governo non abbia preso in considerazione tante capacità industriali e di gestione delle autostrade nazionali rappresentate da imprenditori e da altri investitori sia italiani che internazionali”.

UN FINTO CASO

Fin qui i dubbi e le perplessità. Le quali però si scontrano con una realtà dei fatti molto meno oscura di quanto si creda. Tanto per cominciare, non è da oggi che i fondi stranieri albergano in Autostrade. Silk Road e Autostrade sono nel capitale Aspi dal 2017, dunque da ben tre anni. Secondo, la stessa offerta per rilevare l’88% di Autostrade apre la strada all’ingresso di investitori italiani, in particolare istituzionali, in grado di rafforzare la presenza tricolore. Non è un caso dunque che, da ambienti vicini alla Cassa, filtri tutta la convinzione circa l’italianità dell’operazione. Cdp esprimerà il management e avrà dunque solidi presidi nella governance. In più, viene chiarito, a cambio della proprietà ultimato, ci sarà spazio per altri investitori, italiani. No, non c’è un caso Autostrade.

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