Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Perché la nuova Base dell’Italia sarà il lavoro. La versione di Zanella

Ha scritto per Bompiani “Il futuro del lavoro è femmina”, quasi anticipando lo tsunami che ha poi investito professioni e mercati anche in Italia. Ma soprattutto Silvia Zanella, esperta di lavoro e presente nel comitato scientifico di Base Italia (l’associazione guidata da Marco Bentivogli e Luciano Floridi), ha in mente l’assioma che senza un nuovo modello il Paese non potrà uscire dalle sabbie mobili della propria crisi strutturale, che si è sommata all’emergenza sanitaria mondiale visto che “una focalizzazione sul risultato, base dello smartworking vero, ci impone di cambiare schema.”

Come ripensare il modo di lavorare alla luce dell’esperienza del Covid?

Occorre ripensare al valore che vogliamo dare al nostro lavoro, ciò significa rivedere tempi, luoghi, identità e relazioni sul posto di lavoro. Stiamo assistendo, e questo il Covid lo ha solo accelerato, ad una riproposizione del mondo del lavoro: non è più quello industriale ma si avvia ad essere digitale, non soltanto sul profilo tecnologico ma anche attraverso nuovi modi di lavorare. Ragion per cui, ad esempio, non esiste più una netta distinzione tra vita privata e vita lavorativa, tra il posto fisico di lavoro e quello del presente spesso “home”, oltre ai tempi del lavoro stesso che sempre più spesso si intersecano con quelli familiari.

È cambiato l’humus: quindi?

È necessario rivedere anche le relazioni e i modi di organizzare il lavoro: una visione da leadership e accentratrice che non condivide le informazioni e si focalizza sulla rigida segmentazione si trova in contrapposizione ad un’altra che invece si spinga dal basso verso l’alto proprio per condividere il più possibile. Quest’ultima non è semplicemente una versione buonista di una gestione del lavoro, ma è una versione rispettosa dei capisaldi della sua trasformazione digitale. Il Covid, tramite il remote working, ha messo sotto scacco una serie di pregiudizi precedenti. Lo dimostra il fatto che negli ultimi sei mesi c’è stata una profonda revisione dei modi di lavorare che hanno consentito di portare a casa alcuni risultati. Determinati segmenti sarebbero andati a picco se non ci fosse stato il remote working, al netto delle numerose difficoltà.

Lei è nel comitato scientifico di Base Italia, l’associazione guidata da Marco Bentivogli e Luciano Floridi: come si fa ripartire il lavoro nel nostro Paese?

In primis diffondendo la formazione come diritto soggettivo del lavoratore, che non può evidentemente essere sbattuto in home working senza dotarlo degli strumenti tecnologici e culturali adeguati. In secondo luogo una nuova cultura del lavoro, ovvero focalizzandosi su parole che fino a ieri si sentivano solo nei convegni ma che adesso invece troviamo materialmente nel nostro nuovo quotidiano: fiducia, deleghe, responsabilizzazione. Tutti temi che, fino a quando avevamo in tasca un badge e un cartellino, potevano essere bypassati dalle classiche otto ore: non importa se le passavamo a lavorare più di qualche collega o a giocare al solitario. Invece una focalizzazione sul risultato, base dello smartworking vero, ci impone di cambiare schema. Solo in questo modo si agisce sul reale contributo che il singolo individuo offre alla società. Per cui occorre conoscere dove stanno andando le nostre industrie e che tipo di competenze serviranno.

Perché ha aderito a Base?

Ho aderito a Base anche per via della cultura di innovazione che la caratterizza, rispetto ad una di mera conservazione che farebbe solo danni. In questo vedo il richiamo all’Enciclica di Papa Francesco, secondo cui le persone devono essere aiutate valorizzando l’individuo e restituendogli la dignità del lavoro.

Misure come il reddito di cittadinanza sono state uno spreco di risorse rispetto, ad esempio, ad una detassazione per incentivare le assunzioni?

Di istinto rispondo di sì. Ma capisco anche che siano state dettate dalla necessità di dare una risposta molto concreta a bisogni immediati di famiglie in grande difficoltà. Certo non si possono sostenere nel lungo periodo: è sbagliato pensare di poter somministrare denaro a pioggia senza investire, magari insegnando alle persone come trovare lavoro. Faccio l’esempio dei navigator: se in questi ultimi mesi tutte le persone che sono rimaste a casa con il RdC avessero frequentato dei corsi sui cambiamenti del mondo del lavoro, forse oggi i navigator avrebbero prodotto altri risultati.

Crede che le risorse in arrivo dal Recovery potranno essere utilizzate anche per modernizzare il mondo del lavoro? E in che modo?

Partendo dalla formazione, perché a mio avviso è imprescindibile. Al secondo posto cito il tema della fiscalità: le imprese hanno bisogno di averne una agevolata e di un ecosistema che funzioni meglio. Penso ad una collaborazione più fattiva con la scuola, quando si fa di tutto per non avere alternanza scuola-lavoro o formazione duale. Manca una progettualità di base.

twitter@FDepalo

×

Iscriviti alla newsletter