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Calenda faccia come Sala e cavalchi le primarie. Il corsivo di Arditti

Vedremo con quali parole Carlo Calenda tratterà stasera da Fabio Fazio il tema della sua candidatura a sindaco di Roma, però alcune osservazioni possono essere fatte da subito.

La prima è che la discesa in campo di una persona come Calenda è una buona notizia perché significa (finalmente) che si entra nel vivo della sfida amministrativa più importante del prossimo anno, cioè quella del sindaco della capitale.

In secondo luogo è buona cosa che intenda cimentarsi nella competizione una persona con curriculum istituzionale di tutto rispetto, avendo Calenda alle spalle alcuni anni di esperienza al governo oltre ad una elezione al Parlamento Europeo.

Tutto ciò è bene anche perché impone a Meloni e Salvini di ragionare su un candidato “forte”, non fosse altro che per ragioni di confronto. Motivo in più, peraltro, per ribadire la mia ferma convinzione dell’opportunità (per quella parte politica) della candidatura della leader di Fratelli d’Italia, che commette un grave errore politico evitando la partita del Campidoglio.
Detto ciò l’assai probabile discesa in campo dell’ex ministro dello Sviluppo Economico apre un problema politico alla maggioranza e pone lo stesso Calenda davanti a un bivio.

Il problema politico lo pone a Zingaretti e Di Maio, intenti a cercare una sorta di “accordo quadro” sulle amministrative del prossimo anno. Qui pesa infatti la pronunciata avversità dello stesso Calenda al M5S (comunque si vota su due turni, una soluzione si può trovare).

Poi c’è il bivio (o dilemma) delle primarie come metodo di scelta (a sinistra) del candidato.

Qui sembra esserci una certa avversità dello stesso Calenda al metodo, avversità comprensibile poiché le primarie non sono certo metodo perfetto (peraltro assai condizionabile con il ricorso a “truppe cammellate”).

Detto ciò è pur vero che la sinistra romana negli ultimi dodici anni ha governato la città solo nell’infausta stagione del sindaco Marino, culminata con la defenestrazione del primo cittadino per mano della sua maggioranza.

È quindi evidente che la sinistra in città ha bisogno di ritrovare il suo popolo ed ha bisogno di farlo intorno ad un candidato.
Ecco perché, tutto sommato, le primarie non sono una cattiva idea e consentirebbero proprio a Calenda di ottenere una investitura popolare in grado di alzare il tono della sua candidatura.

In situazione certamente diversa ma non priva di analogie voglio qui ricordare le primarie di Milano nel 2016, attraverso le quali Beppe Sala trovò la sua legittimazione a sinistra, iniziando così la volata verso Palazzo Marino.

Ecco perché, a mio avviso, Calenda farebbe bene a scommettere sulle primarie anziché contrastarle.

Mi si dirà: sono le primarie del Pd, non della coalizione.

Vero, però in politica i problemi si affrontano uno alla volta.



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