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Caro Salvini, la rivoluzione liberale parte in Europa. Parla Pera

Pera

Intervista all’ex presidente del Senato Marcello Pera. Con Salvini ci sentiamo, gli ho detto che la rivoluzione liberale parte in Europa. Lega nel Ppe? Questione di tempo. Giorgetti ha ragione sul Mattarella bis, ma nessuno lo ascolterà

Filosofo, consigliere, professore, Richelieu. Marcello Pera ha tanti soprannomi, forse troppi. Ex presidente del Senato, senatore e padre nobile di Forza Italia dal 1996 al 2013, oggi viene da tutti additato come il promotore della “nuova” Lega di Matteo Salvini. Quella moderata che fa riferimento a Giancarlo Giorgetti, guarda all’Europa e al Ppe, spera di uscire, prima o poi, dall’angolino sovranista. Lui non nega, anzi rilancia: la “rivoluzione liberale” di Salvini, dice a Formiche.net, passa proprio da lì, a Bruxelles. Ma non è solo la Lega a dover cambiare. “L’Europa ha perso la sua anima, deve ritrovarla. E l’ennesimo attacco jihadista in Francia sta lì a dimostrarcelo”.

Professore, perché l’Europa oggi non ha più un’anima?

Lei è ottimista. L’ha già persa da diversi anni ormai, non sa più cosa sia. L’unico atto di coraggio è da imputare a Macron, che finalmente ha parlato di jihadismo islamico. Prima non si poteva dire. Al massimo si denunciava il “terrorismo”, o il “fascismo”.

Il prezzo è stato alto.

Sì, ma i francesi hanno le loro colpe. Sono stati loro i primi a non voler chiamare per nome questo nemico in casa. Oggi c’è un Califfo che vuole rimettere in piedi l’Impero ottomano. Fino a pochi anni fa si discuteva se farlo entrare o no in Ue. Ricordo la furia che si abbattè contro di me quando, da presidente del Senato, dissi che non era fattibile. Guai a parlare di guerra di civiltà.

L’Italia corre lo stesso rischio?

Il nostro Paese, come altri in Europa, è pudibondo, intimorito, perché tale è la sua classe politica. Perfino il presidente della Repubblica si è limitato a una condanna generica. Sto ancora aspettando una grande, imponente manifestazione di massa della comunità islamica per isolare gli estremisti. E una parola da papa Francesco.

Torna attuale la lezione di Ratisbona, quando Benedetto XVI chiese all’Islam “una presa di posizione chiara e coraggiosa” contro la violenza?

Aveva ragione, gli scatenarono contro un putiferio. Fu costretto ad aggiungere una nota a piè di pagina di quello scritto, a dare spiegazioni. Lasciato solo, soprattutto dai cattolici.

Pera, come sta reagendo l’Europa alla pandemia?

Alla spicciola. Ogni Paese va per la sua, non c’è una guida.

Il Recovery Fund, la svolta della Bce. Tutto questo non conta?

Non basta distribuire contributi per dare una maggiore coesione europea.

E allora cosa?

Serve il coraggio per denunciare i trattati esistenti. L’Ue sconta un grave deficit democratico. Bisogna ristudiarne la struttura. Più legittimità significa più resilienza, anche geopolitica.

Trasformarla, non assaltarla, come volevano fare i sovranisti un anno fa…

L’assalto frontale non è possibile. Nessun governo nazionale nasce senza l’autorizzazione di Bruxelles. Purtroppo viviamo una democrazia eterodiretta. Possiamo solo rendere più trasparenti, responsabili, democratiche le istituzioni cui appaltiamo una parte della sovranità nazionale.

La Lega di Matteo Salvini era fra gli assalitori, ora è isolata a Bruxelles. Ce la vede dentro al Ppe?

A breve no, nel medio termine sì.

Salvini continua a negare.

Lo facevo anche io. Nel 1994 il nostro gruppo di “professori” in Forza Italia era per gran parte euroscettico. Quando Berlusconi volle iscrivere il partito nel Ppe, in tanti facemmo resistenza.

Quindi è questione di tempo?

Penso di sì. Ci vuole un po’ a spostare un partito con il 25% dei voti. La Lega può iniziare a migliorare i rapporti con i popolari. Saranno loro a venirle incontro: hanno bisogno dei suoi voti. Salvini lo capirà. Mettere un veto significa frenare la strada del centrodestra per il governo.

È vero che si sente spesso con Salvini?

Non sono un suo consigliere, come in tanti pensano. Ci siamo incontrati qualche volta, colloqui sempre franchi e cordiali.

E lui uscito fuori ha lanciato la rivoluzione liberale. Ci spiega cos’è?

Tre, quattro nodi istituzionali da sciogliere. Costituzione, magistratura, economia e fisco, sono gli stessi di venticinque anni fa. A Salvini dico: è più facile prendere i parlamentari e voti in uscita di Forza Italia che far proprie le sue battaglie iniziali. E lo stesso appello rivolgo alla signora Giorgia Meloni.

Volete davvero creare un nuovo giornale?

Ci sarebbe bisogno di uno strumento di riflessione. Un foglio, con la f minuscola. Io ho sentito che vogliono metterlo in piedi, ma ne sono fuori.

Giorgetti ha in mente una road map: Mattarella bis nel 2022, poi ritorno al voto. Può funzionare?

È un’ipotesi interessante. Se si rielegge Mattarella, non rischiamo di far salire al colle un cattocomunista, e in fila ce ne sono parecchi. Sarebbe una vittoria della Lega. Ma temo che, di nuovo, la parola di Giorgetti finisca inascoltata.



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