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Perché i cattolici scendono in campo. La versione di Menorello

L’iniziativa del prof. Stefano Zamagni con Costruire Insieme e Politica Insieme muove da un ampio documento programmatico, che nei primi punti riconosce come sul tavolo dell’agenda italiana vi siano innanzitutto delle scelte che riguardano la famiglia, la vita e la libertà di educazione, prima ancora che i temi, seppur essenziali e conseguenti, del lavoro, dello sviluppo e dell’ambiente.

È un documento approfondito, che ci aiuta a guardare in faccia la più importante crisi in cui ci troviamo, tutti. “La crisi dell’Europa, prima ancora di essere politica, degli stati e delle sue istituzioni, è una crisi dell’uomo. La crisi è innanzitutto antropologica” (Benedetto XVI, Il Foglio, 26 ottobre 2019).

Infatti, “Noi viviamo l’epoca della seconda secolarizzazione. La prima era comportarsi etsi deus non daretur. Questa seconda secolarizzazione è ben resa da quest’altro aforisma: bisogna comportarsi etsi communitas non daretur, come se la comunità non esistesse. L’individualismo c’era anche prima, all’epoca della prima secolarizzazione, ma oggi si è accasato con il libertarismo il cui slogan è volo ergo sum, voglio dunque sono, sono perché voglio” (Stefano Zamagni, 22 maggio 2019).

Ma che rapporto ha questo dinamismo culturale con la politica? Perché in questo contesto i cattolici stanno intuendo – seppur con mille sfumature – una nuova chiamata a un impegno comune?

I cattolici sanno bene che non è certo la politica il veicolo per la salvezza dell’uomo. Ma ricordano anche l’insegnamento di San Tommaso, che definisce una “legge” come “una prescrizione della ragione, in ordine al bene comune, promulgata dal soggetto alla guida della comunità” (I pars, q. 90, a. 4). Una decisione politica, dunque, sceglie sempre qualcosa ritenuto un “bene” per tutti, cioè un “bene comune”, e condiziona sempre l’intera comunità civile verso quello stesso “valore”. In altri termini, una decisione politica o normativa implica sempre una “antropologia” e sempre indirizza – che lo si voglia o no – la società verso una qualche “idea di uomo”.

Ebbene, dobbiamo accorgerci che è in corso un ripetuto utilizzo del potere politico e della leva della legge per “educare” (rectius, dirigere) la società italiana verso quel modello di uomo tratteggiato da Zamagni. Un uomo che – come nell’esempio del Capaneo dantesco – non riconosce il reale, né i legami con altro da sé, consiste solo in sé stesso, confida solo in quel che “vuole” e pretende di essere misura di tutto. Di qui l’iperbole della “autodeterminazione”, che sta divenendo il criterio sempre più assoluto per misurare la “dignità” stessa della vita umana. Con l’aiuto della legge. Ad esempio, delle leggi 55/2015 (derubricazione del vincolo matrimoniale a fatto privato), n. 76/2016 (allentamento della responsabilità nei vincoli familiari), n. 219/2017 (fine-vita, che mette il SSN a servizio non della vita ma di una “vita dignitosa”), fino alla esplicita “correlazione fra autodeterminazione e dignità umana” consacrata dall’ordinanza della Consulta n. 207/2018 (cfr. Mantovano, in “Diritto” o “condanna” a morire per “vite inutili”?, Cantagalli, 2019.). Ora siamo nell’imminenza di un’ulteriore frontiera sociale che si vuole imposta attraverso una norma: quella, cioè, che sta per essere varata dalla proposta di legge “Zan”, per cui chi non aderirà a una antropologia che non riconosce il reale, sino a negare persino la naturale differenza sessuale sarà passibile di un vaglio e forse di una sanzione penali.

Non possiamo girare la faccia! Dobbiamo svelare il tentativo in atto di usare il potere per condizionare la società italiana al livello più profondo e dire pubblicamente che ognuno di noi si trova, di conseguenza, di fronte al relativo “bivio antropologico”. Scegliamo un uomo concepito sempre per un Destino di Bene, dunque assoluto e “sacro” in ogni suo istante, in ogni sua circostanza, anche e soprattutto se fragile, malata, fallita, debole oppure un “uomo” nei fatti ridotto a valore variabile, degno di attenzione da parte delle istituzioni solo se performante e capace di “autodeterminarsi”?

E di qui, discendono diverse linee di azione pubblica.

Dobbiamo, innanzitutto, denunciare il “trucco”: un uomo concepito come “solo”, senza legami con gli altri e il reale, finisce in realtà per “autodeterminarsi” secondo la mentalità dominante, cioè secondo la “moda”. Perciò la dignità diviene banale sinonimo di efficienza e di “successo”. Chi invece non ha successo, o non lo ha più, per fallimenti, inabilità, povertà, fragilità diviene uno scarto.

Inoltre, ci dobbiamo aiutare ad essere coscienti che l’antropologia incarnata da Francesco d’Assisi, che chiedeva ai suoi amici di essere “soggetti a ogni creatura umana per amore di Dio” (Papa Francesco, Fratelli tutti), per cui la realtà affascina per il Bene cui chiama e ogni istante di vita merita il massimo di attenzione anche dalle istituzioni pubbliche, non è uno schema né un discorso, men che meno una “reazione” incattivita a questo individualismo imposto (anche) per legge al popolo italiano.

Proprio il contesto che viviamo ci fa intuire, cioè, che questo sguardo sull’umano deve essere – da noi per primi – reincontrato, reimparato, riassaporato, con entusiasmo e pazienza. Per questo, anche nell’impegno pubblico appare molto più importante ripartire del c.d. “pre-politico” (per quanto il termine sia brutto e fuorviante) che non da formule organizzative. Abbiamo soprattutto bisogno di ristupirci dell’Ideale cristiano, anche nella sua capacità di declinare luoghi civili e leve politiche più utili a tutti, desiderando, innanzitutto, che così ricrescano rapporti sinceri e di stima reciproca.

In questa tensione, ipotesi di azioni più marcate già verso forme partitiche hanno il dovere di non concepirsi in modo autoreferenziale, ma di essere anzi funzionali e sempre disponibili – come ben si afferma nel documento Zamagni – alla ripartenza più ampia di un impegno pubblico che si fondi innanzitutto sulla condivisione di giudizi e iniziative all’altezza della sfida che il potere sta portando all’antropologia e alla concezione di uomo in Italia. Negli ultimi anni, invece, ogni volta che i cattolici hanno voluto dare priorità alle quasi infinite formule organizzativo-partitiche, i tentativi si sono presto spenti e di questi tentativi nessuno accusa una qualche nostalgia.

Infine, i promotori del nuovo soggetto hanno rivendicato una posizione di “autonomia” nella scacchiera della politica italiana. L’intuizione è importante, perché coglie quanto manchi oggi in Italia una rappresentanza di chi non si riconosce nella demagogia di qualunque colore e quel 30% di “non allineati” al recente referendum costituzionale è lì a dimostrarlo. Si dovrà, piuttosto, non confondere l’ “autonomia” con l’ “equidistanza”, che non renderebbe ragione della decisività della “questione antropologica” che si impone: perciò proprio in base a quella grave pretesa in atto del potere di condizionare, riducendola in senso individualistico, la concezione stessa del valore dell’uomo potremo facilmente misurare le “distanze” o le “vicinanze” con chi è disponibile a non sottrarsi, almeno in parte, alla sfida politica più importante per il popolo italiano.

 

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