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La Cina e la Corte dei conti dell’Ue. Il commento di Massimo Balducci

In secondo piano, dietro i problemi e i dibattiti creati dal Covid 19 e dalle sue conseguenze, i problemi di fondo del nostro Paese rimangono con tutta le loro difficoltà, anche se temporaneamente non sono sotto la luce dei riflettori dei mass media.

Uno di questi temi riguarda i rapporti con la Cina. Si tratta di un vero e proprio snodo problematico, attorno al quale si aggrovigliano tutta una serie di argomenti cruciali: collocazione internazionale dell’Italia, politica commerciale, sicurezza nazionale (nell’ambito della sicurezza un ruolo particolare gioca la cybersecurity) e, perché no, l’autonomia economica e la sovranità del nostro paese. Nell’ambito dei rapporti Italia – Cina un argomento particolarmente scottante è quello relativo alla tecnologia per l’attivazione delle reti di quinta generazione, note come 5G.

Forse il problema può essere affrontato da una prospettiva diversa da quella da cui viene visto attualmente.

Innanzitutto va ricordato che è in corso da alcuni mesi una serie di incontri (telematici) tra la Commissione Ue (Merkel, Von der Leyen, Michel) e la Cina ad alto livello nel tentativo di arrivare ad un trattato sugli investimenti nelle due aree. Lo snodo principale di questo negoziato è rappresentato dalla protezione dei diritti di proprietà intellettuale per le imprese europee che vogliono investire in Cina, diritti attualmente non garantiti in Cina (le imprese europee che vogliono investire in Cina sono di fatto costrette a garantire l’accesso ai cinesi a tutti i loro segreti tecnologici).

Sulla sezione italiana della piattaforma risk & compliance è comparso un interessante report relativo ad una analisi realizzata dalla Corte dei Conti della Ue sui rapporti Ue – Cina, in particolare sull’andamento delle 74 azioni della strategia Ue- Cina.

La Corte dei Conti della Ue fa una serie di osservazioni interessanti, tutte volte a mettere in guardia la Ue e i suoi Stati Membri dai rischi rappresentati dall’iperattivismo cinese. In maniera particolare si evidenziano tre  fatti:

(i) il fatto che la Ue e gli Stati membri non  dispongono di dati esaurienti sullo stato degli investimenti cinesi in Europa;

(ii) il fatto che la strategie Ue-Cina e le sue 74 azioni non vengono monitorizzate;

(iii) il fatto che le imprese cinesi operanti nella Ue sono imprese di Stato o controllate da imprese di Stato che ricevono sussidi statali che gli Stati Membri della Ue non potrebbero  garantire alle loro imprese; in questo modo le imprese cinesi operanti nella UE si vedono garantiti dei vantaggi che sono interdetti alle imprese europee.

È su questo terzo punto che mi concentrerò Quando ero distaccato alla Scuola Nazionale d’Amministrazione avevo stabilito una serie di rapporti con la sezione “economia italiana” dell’accademia delle scienze di Pechino e con la sua direttrice la prof. Luo Hongbo. Dagli scambi con i colleghi cinesi era emerso, al di là di ogni dubbio, che l’economia cinese gira attorno a 120 grandi gruppi (dalla identità giuridica difficilmente definibile), tutti guidati politicamente. La miriade di entità produttive (vagamente private) che caratterizza la Cina è trainata e orientata  da queste 120 grandi entità.

Il fatto è che i  criteri di gestione di queste 120 entità non hanno molto in comune con i criteri di gestione di un’impresa privata occidentale. Il concetto di “partita doppia” è sconosciuto, così come è sconosciuto il concetto di break even.

La Cina rappresenta una cultura molto ricca, molto interessante e affascinante. Ma si tratta di una cultura profondamente diversa dalla cultura occidentale, caucasica. La differenza tra individuo e gruppo in Cina è molto sfumata, e l’individuo è semplicemente un appendice del gruppo. Quando si parla con un singolo individuo non bisogna mai dimenticare che tale individuo non può prendere impegni se questi impegni non sono stati partoriti dal gruppo di cui è un’appendice. La cosa più difficile, nelle negoziazioni con i colleghi cinesi, è sempre stata quella di “stanare” il personaggio influente che è in grado di impegnare il gruppo e che non ama emergere. Impegni presi, anche formalmente, da altri soggetti non verrebbero rispettati perché non considerati validi. Gli elementi costitutivi di quello che noi in occidente chiameremmo impresa non sempre fanno parte dell’impresa. Le strutture fisiche possono essere messe a disposizione dell’impresa da realtà dell’ambiente in cui l’impresa opera (per esempio l’amministrazione cittadina) senza che rientrino nei costi dell’impresa. Il “concetto di aiuti di stato” in questa realtà è privo di significato.

La Ue e, soprattutto la sua Corte dei Conti, percepiscono che con la Cina fin qui si è usato un passo inadeguato. Temo che non ci si renda conto che l’inadeguatezza non è solo tecnica. In Europa non ci si rende conto che la Cina rappresenta un fenomeno culturale molto diverso da noi e che le nostre categorie non vengono comprese dai cinesi. Mentre i cinesi si rendono perfettamente conto che noi non condividiamo le loro categorie mentali. I cinesi, per compiacerci, pretendono (nel senso di far finta) di adeguarsi alle nostre categorie ma, al momento buono se ne discostano, non perché sono subdoli ma perché non riescono ad aderire fino in fondo al nostro modus vivendi e cogitandi che considerano strano, se non barbaro. Che senso può avere per un cinese il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale se quello che in Europa è considerato il titolare di tale diritto si confonde con il gruppo (nel caso di un individuo) o con l’universo dell’arena politica nel caso di una impresa?

Temo che in Italia si sia addirittura indietro rispetto alle istituzioni Ue dove, seppur non consapevoli del rischio rappresentato dal gap culturale, si è per lo meno consapevoli dei rischi tecnici.

In particolare, relativamente alla problematica della tecnologia delle telecomunicazioni di quinta generazione (il 5G), c’è da chiedersi se si percepisce da noi la difficoltà di garantire la sicurezza. La sicurezza nelle comunicazioni è un fatto affidato in buona parte alle entità che gestiscono i servizi. In questo caso l’impresa è considerata un attore “incaricato di pubblico servizio” e quindi deve farsi carico di una serie di funzioni di natura pubblicistica. Dubitiamo che queste entità possano essere delle “imprese” cinesi, proprio per quelle caratteristiche culturali che rendono l’impresa cinese una realtà sfumata che si confonde con il potere politico. Dubitiamo che l’impresa cinese saprebbe farsi carico di garantire la sicurezza delle comunicazioni nell’interesse dello stato Ue che la ospita.

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