Pechino soffre il piano di contenimento lungo le catene insulari del Pacifico. Ecco cosa c’è dietro alla rissa pubblica alle Fiji tra cinesi e taiwanesi
Giovedì 8 ottobre al Grand Pacific Hotel di Suva, capitale delle Isole Fiji, c’è stata una rissa tra diplomatici cinesi e membri della rappresentanza di Taiwan. Nella hall dell’albergo l’ufficio per il Commercio di Taipei (rappresentanza permanete nell’arcipelago) aveva organizzato un ricevimento per il Double Ten Day (festa nazionale della Repubblica di Cina), ossia la commemorazione dell’inizio della rivolta di Wuchang del 10 ottobre 1911 (il 10-10 o doppio dieci), che portò alla fine della dinastia imperiale Qing e all’istituzione della Repubblica di Cina il 1 ° gennaio 1912.
Due cinesi, apparentemente appartenenti al personale diplomatico dell’ambasciata nelle Fiji (potenzialmente addetti allo spionaggio), si sono imbucati alla festa e hanno iniziato a fotografare di nascosto gli ospiti. Il personale di Taiwan ha reagito a quella evidente raccolta di informazioni sugli invitati cercando di allontanare i due: ne è nata una colluttazione, con un taiwanese finito all’ospedale con una ferita alla testa. Pechino, attraverso il ministero degli Esteri, dichiara l’opposto: dice che a essere ferito è stato un cinese, aggredito dagli altri – ma del taiwanese ci sono i certificati di ricovero. Indipendente da come è andata la rissa (si danno e si prendono in certi casi) la vicenda è rappresentativa di come le dinamiche nel Pacifico, e tra le isole del Pacifico, stiano diventando più tese.
Come la storia paradigmatica della Nuova Caledonia, il referendum indipendentista fallito per paura di scalpellare verso la Cina, anche questa dalle Fiji racconta di come il Partito/Stato senta la necessità di menare i propri interessi in una regione in cui muove la sfera di influenza ma sente le pressioni dei rivali. E Taiwan – che per il Dragone è una provincia ribelle da riannettere anche con la forza – ne è chiaramente parte di quei rivali, che stanno costruendo all’interno del Pacifico una cortina di contenimento anche sfruttando l’appoggio logistico-geopolitico dei Paesi-arcipelaghi. Un piano su cui è evidente lo zampino americano, che sfrutta il contesto come asset per il confronto strategico con la Cina. Pechino, stante alle dichiarazioni, porta la questione sul riconoscimento di Taiwan: sostiene infatti che le Fiji concordano su “una sola Cina”, ossia non riconoscono la repubblica taiwanese e sottolinea che di fatto non esiste personale diplomatico di Taipei. Un punto, questo sul riconoscimento di Taiwan, attraverso cui il Partito/Stato ha riagganciato recentemente le relazioni con le Isole Salomone e con Kiribati (dove lo spostamento pro-Cina sta facendo perdere consensi al presidente). Di fatto Taiwan è invece parte di un confronto ben più ampio: la riapertura di quelle relazioni serve infatti come mossa per depressurizzare il contenimento nell’Indo-Pacifico subito da Pechino, mentre le ambasciate seguono una linea sempre più aggressiva dettata dal Partito.
(Foto: Taiwan Trade Office, un’immagine dell’evento)