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Così i democratici puntano sugli 007 per fermare Pechino

L’autoritarismo è in ascesa e mette a rischio l’idea stessa di democrazia liberale. Prima i bisogni dello Stato, poi — forse — le libertà individuali. È la sfida lanciata dalla Cina all’ordine mondiale che ha negli Stati Uniti il simbolo e la guida. Ma questi ultimi sono pronti? I loro 007 no, parola di Adam Schiff, esponente del Partito democratico e presidente della commissione Intelligence della Camera dei rappresentanti di Washington. “In assenza di un significativo riallineamento delle risorse e dell’organizzazione, gli Stati Uniti non saranno preparati a competere con la Cina sulla scena globale per i decenni a venire”, scrive Schiff analizzando su Foreign Affairs lo stato di salute delle agenzie d’intelligence statunitensi. È il risultato, spiega, di interviste, sopralluoghi e analisi su cui la commissione che presiede ha lavorato per due anni e culminati in un rapporto di 37 pagine.

LA SFIDA CINESE

Da una parte c’è la sfida economica, militare e diplomatica di Pechino, il cui “modello di totalitarismo guidato dalla tecnologia è diventato man mano anche parte dell’export cinese, consentendo ad altri aspiranti autocrati di seguire l’esempio” e le cui mire espansionistiche hanno portato, sotto la guida di Xi Jinping alla modernizzazione di molti aspetti, a partire dall’apparato militare. Dall’altra parte c’è il fatto che nelle agenzie d’intelligence mancano “attenzione e competenza” sulla Cina, scrive Schiff. “Dopo l’11 settembre, gli Stati Uniti e le loro agenzie di intelligence si sono rapidamente riorientati verso una missione antiterrorismo per proteggere la patria”. Mosse “necessarie e ampiamente riuscite” ma le “capacità e risorse dedicate ad altre missioni prioritarie, come la Cina, sono diminuite”. Ed è in questa fase che ”la Cina si è trasformata in una nazione potenzialmente in grado di soppiantare gli Stati Uniti come potenza leader nel mondo”.

COME AGIRE

“La buona notizia è che abbiamo ancora tempo per cambiare rotta”, continua il deputato dem che propone la sua ricetta. Primo punto: rimodulare risorse e personale. Secondo: le agenzie di intelligence devono adattarsi meglio all’enorme quantità di dati open source a loro disposizione sulle minacce globali e sui concorrenti e fornire rapidamente le informazioni risultanti ai decisori — il che si traduce in intelligenza artificiale e apprendimento automatico. Terzo: dobbiamo cambiare il modo in cui consideriamo la minaccia dalla Cina, che non significa “solo una minaccia militare ma anche minacce economiche, tecnologiche, sanitarie e di controspionaggio” — ed è per questo, scrive, che serve adottare unità d’intelligence sulla Cina all’interno di diverse agenzie tra cui l’ufficio del Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti e le agenzie scientifiche e sanitarie.

IL LATO POLITICO

Alla fine del suo intervenuto su Foreign Affairs, il deputato Schiff scrive: “È diventato fin troppo chiaro che gli Stati Uniti non possono rinunciare alla leadership globale, perché se lo faranno, la Cina entrerà volentieri nella breccia con le proprie intenzioni malvagie”. E punta il dito contro l’attuale amministrazione guidata dal repubblicano Donald Trump: “Nonostante tutti i discorsi a Washington sulla necessità di essere ‘duri con la Cina’, c’è stata poca azione all’interno della comunità dell’intelligence statunitense — perché l’azione, a differenza del discorso, richiede scelte difficili sui finanziamenti e sulle priorità”.

E non devono affatto stupire le parole di Schiff, uno dei grandi sostenitori del candidato presidenziale Joe Biden: ormai, come spiegato su Formiche.net, i democratici statunitensi sembrano essersi lasciati alle spalle l’era di Barack Obama abbracciando la linea dura contro la Cina promossa da Trump in campo tecnologico e commerciale. Hanno però il tema dei diritti umani (Schiff nel suo intervento cita Hong Kong, Taiwan e la questione uigura), che renderebbe il confronto tra Stati Uniti e Cina sotto un’amministrazione Biden ancora più aspro.



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