Ci è voluta la Giornata del disagio mentale perché anche Il Presidente della Repubblica lo riconoscesse: accanto ai morti e alle terapie intensive, c’è un’altra pandemia parallela al Covid. Una pandemia invisibile per mesi, ma che ora è venuta allo scoperto. Il disagio psichico.
La diffusione disagio psichico, capillare e pervasiva, è la vera cicatrice che dovremo curare anche dopo che i nostri corpi saranno immuni o vaccinati: la crisi che dovremo elaborare anche dopo che le mascherine saranno diventate un amarcord.
Di questa sofferenza i servizi psichiatrici del territorio si erano accorti fin dall’inizio. Insufficienti e in perenne carenza di mezzi e personale, sono stati travolti: non solo dall’impossibilità di seguire chi già da tempo soffriva di un disturbo mentale, ma dalla valanga delle nuove richieste. In Italia è già tanto se si riescono a seguire i pazienti gravi, quelli psichiatrici. Per tutti gli altri, per quelli che soffrono ma tirano avanti, è praticamente impossibile accedere a una qualche terapia, anche breve, che non sia la semplice somministrazione di un farmaco. Se ti rompi una gamba puoi andare al pronto soccorso e poi puoi accedere a cliniche private convenzionate con lo Stato, gratis. Ma se hai una depressione non hai diritto a seguire una psicoterapia. A meno che tu non possa permettertelo.
Durante il lockdown, anche io ho fatto parte del gruppo di centinaia di volontari della Società Psicoanalitica Italiana che ha fornito ascolto gratuito a chi chiamava il numero verde creato dal ministero della Salute. In quattro mesi abbiamo ricevuto, insieme ad altre società di psicoterapia, quasi ottantamila chiamate.
Spesso chi chiamava scopriva per la prima volta di avere un proprio “mondo interno”. O che è possibile sintonizzarsi con il significato profondo della propria crisi, al di là della causa scatenante per cui era stata fatta la chiamata al numero verde.
Il lockdown ha reso meno latenti le nostre follie private, tenute a bada da abitudini quotidiane che facevano da “bastone” a un equilibrio precario. È emerso in superficie quello che veniva “contenuto” dai nostri impegni quotidiani, diluito nella miriadi di rapporti dei quali ci riempivamo l’esistenza senza farci pensare, sedato da micro-dipendenze di ogni genere. In alcuni casi ha prodotto disturbi dell’umore, fobie, disturbi alimentari, attacchi di angoscia, in altri ha scatenato dolore mentale: per la perdita di relazioni che servivano a modulare l’affettività o a per il senso di mancanza dell’altro. Chi era solo si è trovato ancora più solo; gli adolescenti hanno scoperto di avere sempre più paura di incontrare i coetanei; le coppie sono scoppiate, mai come negli ultimi mesi ci sono state richieste di divorzio, perché il coniuge è diventato l’unico contenitore per la proiezione dei nostre angosce.
Dunque sì, Mattarella ha ragione. Ma come per la lotta al contagio ha richiesto di andare oltre le parole, anche la cura di questa epidemia di disagio psichico necessita di fare prevenzione vera e di passare all’investimento di risorse.