Il direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, ci consente un accesso alla lettura dell’enciclica “Fratelli tutti” a pochi minuti dalla sua divulgazione.
Il papa parte da un assunto folgorante: “Siamo tutti della stessa carne”. Partendo da qui diviene subito chiaro che questo testo è rivolto a tutti: cattolici, credenti, agnostici, atei. Anche perché Francesco specifica di aver completato questo testo nel tempo della pandemia, che ha dimostrato come possiamo salvarci soltanto insieme, ma senza aver dimostrato neanche in questa circostanza prontezza nel saperlo fare.
Dunque fratellanza si unisce da subito al concetto di amicizia sociale. Il testo premette una visione cristiana: è la parabola del buon samaritano. Mentre altri, religiosi, abbandonavano il bastonato per strada sanguinante dai briganti, il samaritano lo soccorre. Questo brano evangelico ci introduce all’approccio cristiano di Francesco alla fratellanza e all’amicizia sociale. Ma il direttore di Civiltà Cattolica individua in questo racconto, il classico stile narrativo di Francesco, l’esempio che spiega l’amicizia sociale: “La fratellanza è poi la base solida per vivere l’’amicizia sociale’. Papa Francesco nel 2015, parlando a L’Avana, ha ricordato che una volta era andato in visita in un’area molto povera di Buenos Aires. Il parroco del quartiere gli aveva presentato un gruppo di giovani che stava costruendo alcuni locali: ‘Questo è l’architetto, è ebreo; questo è comunista, questo è cattolico praticante, questo è…’. Commentò il papa: ‘Erano tutti diversi, ma tutti stavano lavorando insieme per il bene comune’. Francesco chiama questa attitudine ‘amicizia sociale’, che sa coniugare i diritti con la responsabilità per il bene comune, le diversità con il riconoscimento di una fratellanza radicale”.
Quanto siamo distanti da questa visione, interna e internazionale. È l’osservazione che accompagna la lettura della prima parte dell’enciclica: “Il Pontefice osserva il mondo e ha l’impressione generale che si stia sviluppando un vero e proprio scisma tra il singolo e la comunità umana (cfr n. 30). Un mondo che non ha imparato nulla dalle tragedie del Novecento, senza senso della storia (cfr n. 13). Sembra che ci sia un regresso: i conflitti, i nazionalismi, il senso sociale smarrito (cfr. n. 11), e il bene comune sembra essere il meno comune dei beni. In questo mondo globalizzato siamo soli e prevale l’individuo sulla dimensione comunitaria dell’esistenza (cfr n. 12). Le persone svolgono il ruolo di consumatori o di spettatori, e sono favoriti i più forti. E così Francesco monta i tasselli del puzzle che illustra i drammi del nostro tempo”.
Il discorso si dipana su diversi punti relativi alla persona, la politica, i diritti, la cultura dello scarto. E quindi arriva al punto delle migrazioni: “Il quarto tassello è l’importante paragrafo dedicato alle migrazioni. Se deve essere riaffermato il diritto a non emigrare, è vero pure che una mentalità xenofoba dimentica che i migranti devono essere protagonisti del loro stesso salvataggio. E con forza afferma: ‘È inaccettabile che i cristiani condividano questa mentalità'”.
In queste condizioni ovviamente diviene molto importante il ruolo dell’informazione, o della disinformazione. L’enciclica dice molto al riguardo e padre Spadaro sottolinea che “nel mondo interconnesso si accorciano le distanze, ma si sviluppano atteggiamenti di chiusura e di intolleranza, che alimentano lo ‘spettacolo’ messo in scena dai movimenti di odio”.
Di qui si arriva all’amore, a quella che non seguendo il testo potremmo chiamare empatia con il prossimo, e Francesco osserva che “solido” e “solidarietà” hanno la stessa radice. Ma avverte il rischio di un possibile equivoco che padre Spadaro presenta così: “Quello del falso universalismo di chi non ama il proprio popolo. È forte anche il rischio di un universalismo autoritario e astratto, che mira a omogeneizzare, uniformare, dominare. La custodia delle differenze è il criterio della vera fraternità che non omologa, ma accoglie e fa convergere le diversità, valorizzandole. Si è fratelli perché nel contempo si è uguali e diversi: ‘C’è bisogno di liberarsi dall’obbligo di essere uguali’” e più avanti aggiunge: “D’altra parte, il papa pone in evidenza il fatto che l’arrivo di persone che provengono da un contesto vitale e culturale differente si trasforma in un dono per chi le accoglie: è un incontro tra persone e culture che costituisce un’opportunità di arricchimento e di sviluppo. E questo può avvenire se si permette all’altro di essere sé stesso”.
È qui che emerge la forza di un messaggio di solidarietà, cura reciproca e un messaggio di pluralismo sociale e culturale vissuto dentro e fuori i confini nazionali. Il pluralismo arricchisce proprio perché siamo diversi. Scrive ancora il direttore de La Civiltà Cattolica: “Francesco prosegue il suo discorso con un capitolo dedicato alla migliore politica, quella posta al servizio del vero bene comune (cfr n. 154). E qui affronta di petto la questione del confronto tra populismo e liberalismo, che possono usare i deboli, il ‘popolo’, in maniera demagogica. Francesco intende chiarire subito un malinteso usando un’ampia citazione dell’intervista che ci concesse per la pubblicazione dei suoi scritti da arcivescovo di Buenos Aires. La riportiamo per intero perché centrale nel discorso ‘Popolo non è una categoria logica, né è una categoria mistica, se la intendiamo nel senso che tutto quello che fa il popolo sia buono o nel senso che il popolo sia una categoria angelicata. Ma no! È una categoria mitica […]. Quando spieghi che cos’è un popolo usi categorie logiche perché lo devi spiegare: ci vogliono, certo. Ma non spieghi così il senso dell’appartenenza al popolo. La parola “popolo” ha qualcosa di più che non può essere spiegato in maniera logica. Essere parte del popolo è far parte di un’identità comune fatta di legami sociali e culturali. E questa non è una cosa automatica, anzi: è un processo lento, difficile… verso un progetto comune'”.
Nel testo il direttore de La Civiltà Cattolica si sofferma a lungo su altri due tasselli chiave della visione bergogliana che nell’enciclica hanno molto peso. Il primo è quello del ruolo dei movimenti popolari: “I movimenti popolari ‘aggregano disoccupati, lavoratori precari e informali e tanti altri che non rientrano facilmente nei canali già stabiliti’ (n. 169). Con questi movimenti si supera ‘quell’idea delle politiche sociali concepite come una politica verso i poveri, ma mai con i poveri, mai dei poveri e tanto meno inserita in un progetto che riunisca i popoli’.” E proprio in questa prospettiva va l’altro tassello, il multilateralismo e le istituzioni internazionali: “Si sofferma sulle istituzioni internazionali, oggi indebolite, soprattutto perché la dimensione economico-finanziaria, con caratteri transnazionali, tende a predominare sulla politica. Tra queste l’Organizzazione delle Nazioni Unite, che va riformata per evitare che sia delegittimata e perché «possa dare reale concretezza al concetto di famiglia di nazioni» (n. 173). Essa ha come compito la promozione della sovranità del diritto, perché la giustizia è ‘requisito indispensabile per realizzare l’ideale della fraternità universale’.
La cultura sulla quale si fonda tutto questo è la cultura del dialogo, il perno centrale che consente fratellanza e amicizia sociale tra diversi: ‘L’autentico dialogo sociale presuppone la capacità di rispettare il punto di vista dell’altro, accettando la possibilità che contenga delle convinzioni o degli interessi legittimi’ (n. 203)[9]. È questa la dinamica della fratellanza, del resto, il suo carattere esistenziale, che ‘aiuta a relativizzare le idee, almeno nel senso di non rassegnarsi al fatto che un conflitto insorto da una disparità di vedute e di opinioni prevalga definitivamente sulla fratellanza’. Dialogo non significa affatto relativismo, sia chiaro. Come aveva già scritto nell’Enciclica Laudato si’, Francesco afferma che se a contare non sono verità oggettive né principi stabili, ma la soddisfazione delle proprie aspirazioni e delle necessità immediate, allora le leggi verranno intese solo come imposizioni arbitrarie e ostacoli da evitare. La ricerca dei valori più alti si impone sempre (cfr nn. 206-210). L’incontro e il dialogo si fanno così ‘cultura dell’incontro’, che significa la passione di un popolo nel voler progettare qualcosa che coinvolga tutti; e che non è un bene in sé, ma è un modo per fare il bene comune”.
La visione di fede e di Chiesa conclude il testo, che padre Spadaro ha riassunto e presentato e chiude così: “Come tra i fiori la rosa, così regnerà la ‘città dei fratelli’ fra le metropoli del mondo, scrive Marechal. E Francesco con questa Enciclica punta diritto alla venuta del ‘Regno di Dio’, come preghiamo nel Padre nostro, la preghiera che ci vede tutti fratelli perché figli di un unico Padre. Il senso del Regno di Dio è la capacità dei cristiani di mettere la buona notizia del Vangelo a disposizione di tutta l’umanità, a tutti gli uomini e le donne senza distinzione alcuna, come risorsa di salvezza e pienezza. In questo caso il vangelo della fratellanza”.