Ci troviamo in una fase della vita del Paese che richiederebbe soprattutto di investire in due risorse: la fiducia e la pazienza. Guarda caso, i due bastioni che la demagogia di tutti questi anni, propalata da destra, da sinistra e perfino dal centro, ha grandiosamente abbattuto con il suo furore polemico. Il commento di Marco Follini
Una doverosa premessa. Di questi tempi la difficoltà di governare, amministrare, fare politica è tale che qualunque giudizio saccente e liquidatorio dovrebbe essere accuratamente evitato. Dare la croce addosso a chi gestisce – al governo o dall’opposizione – questa fase della vita del paese è fin troppo facile ma anche fin troppo ingiusto, e per quanto sta in me evitarne la tentazione.
Ciò detto, si dovrebbe però riflettere sull’intreccio che si è venuto aggrovigliando tra la lotta al virus e il tipo di contesa politica che da un po’ di anni a questa parte si svolge nelle nostre contrade. Già, perché l’avvento del populismo mal si concilia con le necessità che l’emergenza sanitaria ci pone davanti. Prima fra tutte, quella di una ragionevole fiducia nelle istituzioni, nella scienza e perfino nel nostro prossimo.
La politica ai tempi del populismo “ragiona” infatti per sospetti e per dicerie. Ha bisogno di successi, proclami, parole d’ordine. Tende a non assumere responsabilità, a non contemplare difficoltà. Guarda l’altro con una certa cupezza. Diffida di ogni complicazione. Semplifica fino all’estremo. Ama essere assertiva e sbrigativa. È impaziente, declamatoria, celebrativa. Parla per slogan. Predilige il partito preso.
E invece noi oggi ci troviamo in una fase della vita del Paese che richiederebbe soprattutto di investire in due risorse: la fiducia e la pazienza. Guarda caso, i due bastioni che la demagogia di tutti questi anni, propalata da destra, da sinistra e perfino dal centro, ha grandiosamente abbattuto con il suo furore polemico.
Ora, dato che il governo in carica è populista almeno per metà (e che l’opposizione lo è per più di tre quarti), la tentazione meschina di rendere pan per focaccia soffiando sul fuoco della difficoltà e dell’emergenza viene un po’ a tutti coloro che non hanno fatto parte di questo coro. Ma si tratta, appunto, di meschinità. Servirebbe piuttosto richiamare l’attenzione e la consapevolezza di tutti sul fatto che il governo di una società complessa – tanto più in tempi di emergenza – richiede una disponibilità all’ascolto e un senso della misura che sono le due risorse critiche (e preziose) che la nostra democrazia ha dissipato nella tempesta polemica di tutti questi anni. Risorse che a questo punto vanno ricostruite, ad ogni costo.
Ci sarebbe bisogno, al punto ci siamo, di dedicarsi a ragionamenti meno tagliati con l’accetta. E soprattutto di prendere decisioni che non mirino a suscitare un facile ed effimero consenso di giornata, ma che cerchino per quanto possibile di guardare con lucidità al domani e al dopo, e con rispetto al prossimo. È questa la politica che aiuterebbe il Paese ad attraversare il guado della sua profonda difficoltà civile. Non per dar vita a un minuetto, o a un gioco consociativo. Ma per ricordare a noi stessi che la buona politica ha bisogno prima di tutto di fiducia. Se invece è la diffidenza che ci governa, come è stato fin qui, il virus finirà per correre ancora più indisturbato lungo tutte le nostre contrade.
Per cercare di fermarlo serve che ricominciamo a fidarci un po’ di più in noi stessi, nel nostro prossimo, nelle nostre istituzioni e nelle potenzialità di quel gioco appassionante, a volte meschino, ma in fondo quasi sempre costruttivo che è la “politica”.