Siamo il Paese con la più alta percentuale di riciclo, quasi l’80%, il doppio della media europea che si attesta intorno al 40%. Ma c’è anche la chimica…
Il sistema italiano delle imprese attive nella green economy è il più saldo e il più forte tra i grandi Paesi dell’Unione Europea per quanto riguarda l’eco-efficienza, e cioè per le materie impiegate, l’energia utilizzata, la gestione dei rifiuti e le emissioni atmosferiche prodotte. E le nostre aziende hanno compiuto un progresso continuo negli ultimi dieci anni. I numeri non lasciano dubbi sull’interpretazione. Siamo il Paese con la più alta percentuale di riciclo, quasi l’80%, il doppio della media europea che si attesta intorno al 40% (la Francia è al 56%, la Spagna al 43% e la Germania al 39%). E le nostre imprese utilizzano materiali riciclati per oltre il 14% rispetto a una media europea dell’11%. Complessivamente, la sostituzione della materia seconda nell’economia italiana comporta un risparmio potenziale pari a 23 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio e a 63 milioni di tonnellate di CO2.
Per quanto riguarda gli investimenti, su un milione e 400 mila imprese circa, negli ultimi cinque anni il 21,5% (circa 300 mila imprese) hanno puntato sul green con risultati più performanti, rispetto a quelle meno sostenibili, sull’export (+10%), sull’occupazione (+7%) e sul fatturato (+7%). Anche la domanda di lavoro si sposta verso il green: nel 2019 il 35% delle entrate ha riguardato i “green jobs”; si prevede che nel prossimo quinquennio (al netto di quello che potrà accadere rispetto alla pandemia) il 38% del fabbisogno delle professioni e dei mestieri richiederà competenze green, ossia un milione circa di nuovi posti di lavoro.
Questo e molto altro ci fornisce il Rapporto GreenItaly 2020, giunto alla sua undicesima edizione, realizzato dalla Fondazione Symbola e da Unioncamere e presentato oggi, rigorosamente on line, con la partecipazione oltre che dei padroni di casa Ermete Realacci, presidente di Symbola e Giuseppe Tripoli, segretario generale di Unioncamere, del ministro per gli Affari Europei Vincenzo Amendola, del Commissario europeo per l’Economia Paolo Gentiloni, del Presidente del Conai, Luca Ruini e dell’amministratore delegato Novamont, Catia Bastioli.
Nel mese di ottobre di quest’anno, dopo lo shock della pandemia, le imprese green hanno reagito meglio delle altre. Tra le imprese che hanno effettuato investimenti per la sostenibilità, il 16% è riuscito ad aumentare il proprio fatturato, contro il 9% di quelle non green. Questo non significa ce la crisi non sia fatta sentire, ma certo in misura più contenuta: la quota di imprese manifatturiere il cui fatturato è sceso nel 2020 di oltre il 15% è dell’8,2%, mentre è stata quasi il doppio (14,5%) tra le imprese non eco-investitrici.
Il vantaggio di queste ultime si conferma anche perché innovano di più (73% contro 46%), investono maggiormente in ricerca e sviluppo (33% contro 12%) e utilizzano in maniera maggiore tecnologie 4.0. E nonostante l’incertezza del quadro futuro, le imprese dimostrano di credere nella sostenibilità ambientale: il 24% conferma eco-investimenti per il periodo 1021-1023. E sono le imprese giovanili che guardano di più al green: nel passato triennio il 47% delle imprese di under 35 ha investito nella green economy contro il 23% delle altre imprese.
Con il taglio del 20% sull’uso dei pesticidi tra il 2011 e il 2018, l’agricoltura italiana si conferma la più verde d’Europa, a fronte di un trend opposto in Francia e Germania. Siamo il primo Paese europeo per numero di aziende agricole impegnate nel biologico dove sono saliti ad oltre 80 mila gli operatori coinvolti. Crescita trainata anche dal mercato interno, che persino durante il lockdown ha mostrato un incremento dell’11% delle vendite di prodotti bio nei supermercati.
Ma l’Italia è anche uno dei campioni mondiali della chimica verde e delle bioplastiche, soprattutto per quanto riguarda la ricerca l’innovazione. E i prodotti di questa nuova chimica sono sempre più utilizzati dalle imprese, dall’agroalimentare al tessile. Quest’ultimo settore guida la conversione sostenibile della moda: nelle fibre e nell’uso di prodotti più sostenibili.
Insomma, come emerge dal rapporto, c’è un’Italia pronta per i fondi che arriveranno dal Recovery Fund e la green economy è la migliore risposta alla crisi che stiamo attraversando. L’Europa, in questa drammatica crisi, ha saputo guardare oltre, “superando rigidità ed egoismi, ritrovando la sua anima e rinnovando la sua missione”. La sfida che ci attende richiede che vengano mobilitate energie economiche, tecnologiche, istituzionali, politiche , sociali e culturali. Come dice Papa Francesco, “peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla”.