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Grillo, Giorgetti e quell’insostenibile voglia di Dc. Parla Paolo Mieli

Alla fine vincerà la Dc. Paolo Mieli, già direttore del Corriere della Sera e veterano del giornalismo italiano, ascolta divertito le ultime beghe del governo rossogiallo. Su tutte, quel post al vetriolo di Davide Casaleggio sul blog delle Stelle. Un ultimo ultimatum al Movimento che si fa partito. Poi le trame fra centrodestra e grillini per accaparrarsi il centro italiano e corteggiare la nuova Cdu, quella che nascerà dopo l’addio di Angela Merkel. E pensare che si facevano chiamare sovranisti.

Paolo Mieli, chi vince fra Grillo e Casaleggio?

Alla fine credo che il Movimento starà con Grillo. Il fondatore compare e scompare, forse non è più quello di una volta. Ma nessuno si può permettere di fare un gruppo alle elezioni con il suo anatema. Così come, dieci anni fa, nessuno poteva fare un gruppo leghista con la maledizione di Umberto Bossi. Non penso si arrivi a una vera rottura. Resteranno in equilibrio.

Su cosa?

Un filo sospeso fra due appuntamenti, le elezioni comunali e le prossime elezioni politiche. Le prime funzionano con un sistema maggioritario, che obbligherà il Movimento a fare patti con il Pd. Le altre invece sul proporzionale, che chiede di marcare una propria identità. Faranno i salti mortali.

Di Maio e Grillo continuano a tifare per l’alleanza organica con i dem.

Possono farlo, ma la riforma elettorale è una grande incognita. Nel 1993-94, quando si passò al maggioritario, chi ancora ragionava con il vecchio sistema è andato incontro a una disfatta elettorale. In un proporzionale i partiti competono con le forze più vicine. Trent’anni fa i socialisti facevano concorrenza ai laici e ai comunisti, i comunisti al Psiup, di certo non all’Msi.

Come se ne esce?

Con un po’ di buona retorica Dc. Già me li immagino a parlare di “convergenze parallele”, a definirsi “uniti ma distanti”.

Forse di Dc non c’è solo la retorica. Dicono che Di Maio stia facendo un pensiero al Partito popolare europeo…

Tutto può essere. Bisogna vedere se i popolari sono d’accordo. Credo che avranno la saggezza di verificare prima la vera consistenza elettorale del Movimento. C’è solo una persona in Italia che sta gestendo in modo intelligente quell’operazione.

Mi faccia indovinare: Giancarlo Giorgetti.

Dicono che voglia traghettare la Lega nel Ppe, io credo che la sua idea vada ben oltre. Sta issando la bandiera della conversione dell’intero centrodestra.

Per portarlo dove?

Non dentro al Ppe, ma nella sua anticamera. Forse è meglio fermarsi lì. È un modo per non rimanere imparentati in eterno con gli estremisti europei.

Insomma, i sovranisti moriranno democristiani.

Qualcuno ci sta facendo un pensiero. Con l’esaurimento di Forza Italia rimane vacante il posto più ambizioso, quello di interlocutore del Ppe in Italia. Farà gola a molti. Il centrodestra a trazione leghista, se vuole, ha le carte in regola per occuparlo.

In tanti cercano di parlare a quel mondo. Da Politica Insieme di Zamagni ad Azione di Calenda, ora in Italia il centro va di moda.

Mi sembrano operazioni un po’ fini a se stesse. Calenda almeno ha ammesso di non voler accanirsi, se non dovesse arrivare in doppia cifra. Gli altri cercano di ripetere la parabola della Meloni, che ha fondato un piccolo partito e lo ha portato a diventare il terzo in Italia. Ma dovranno fare i conti con la mannaia della soglia del 5%. Zingaretti l’ha promessa, e io sono uno degli ultimi che ancora lo prende in parola. Ad ogni modo, proveranno ad aggirarla con i regolamenti dei gruppi parlamentari.

Intanto qualcosa si muove nella Cdu, che si prepara al dopo-Merkel. Si fa il nome di Armin Laschet, che nella sua recente visita a Roma ha incontrato sia Conte sia Di Maio…

Quei movimenti nella Cdu possono cambiare la carta politica dell’Ue. Non credo che Laschet o altri democristiani tedeschi cerchino nel Movimento un interlocutore ufficiale. Con l’uscita di scena della Merkel verrà meno lo schema su cui ha costruito un lungo regno in Ue, cioè l’alleanza fra popolari e sinistre. A quel punto la Cdu potrebbe voler guardare a destra, spaccando le coalizioni nazionali per annettere i moderati e lasciare fuori gli estremisti.

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