Beppe Grillo vuole mandare in porto la Via della Seta cinese. Un nuovo post sul Blog del fondatore del Movimento Cinque Stelle chiede di trasformare i porti di Taranto e Gioia Tauro in due terminali per fare dell’Italia un perno della “Belt and Road Initiative”.
Firmato con lo pseudonimo J. Lo Zippe, l’articolo spiega come non ci sia più tempo da perdere: bisogna aprire le porte del porto pugliese e di quello calabrese agli investimenti esteri, a partire da quelli cinesi.
“Gioia Tauro e Taranto possono rendere l’intero sistema portuale italiano protagonista delle rotte mediterranee ed europee”, recita il post. “L’Italia in questo modo rientrerebbe a pieno titolo nella Via della Seta Marittima e diverrebbe ponte del continente europeo verso l’altra sponda del Mediterraneo, verso e da Suez diventando un grande hub per transhipment e gateway”.
La parola “Cina” non compare mai nell’articolo ma non serve specificare. Al centro campeggia infatti una mappa della Bri nel Mediterraneo, con tutte le sue ramificazioni, dal porto greco (venduto un anno fa ai cinesi di Cosco) del Pireo a quello marocchino di Tanger Med, passando per quelli italiani, Genova, Gioia Tauro, Taranto, Trieste.
L’autore e chi lo ospita ne sono convinti. La resurrezione di Taranto passa dagli investimenti della Via della Seta di Xi Jinping. Non solo: “Sarà l’intera infrastruttura portuale e logistica italiana a beneficiarne grazie ai corridoi adriatico e tirrenico che da Taranto si sviluppano per raggiungere l’Italia intera. Le merci smistate raggiungendo il nord Europa attraverso questi corridoi rafforzerebbero il ruolo degli hub di Genova e Trieste, amplificando le loro capacità”.
Il tema è caldissimo. L’acquisizione da parte del Gruppo Ferretti, che per l’85% è in mano ai cinesi di Weichai, dell’ex scalo Belleli del porto di Taranto (220mila metri quadri). Il governo italiano, con una visita di un’ampia delegazione (7 ministri) capeggiata dal premier in persona Giuseppe Conte una settimana fa, ha di fatto dato il via libera all’operazione, nonostante i molti dubbi avanzati dagli alleati negli Stati Uniti e dal mondo dell’intelligence, a partire dal Copasir, che ha un dossier aperto sull’investimento.
Nello scalo ionico fa base la Nato con le sue Standing Naval Forces (Snf) e pure una importante missione navale dell’Ue a guida italiana, Irini, che fra le altre cose presidia l’embargo di armi in Libia. Giunto a Roma per una visita lampo due settimane fa, il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha messo in guardia il governo dagli “investimenti predatori” cinesi.
Ma il caso di Taranto è ormai quasi archiviato: lo scalo del porto sarà venduto all’azienda italiana controllata da Weichai, con buona pace di Nato e compagnia. E per la felicità di Grillo, che nelle ultime settimane non ha perso occasione di strizzare un occhiolino dal suo blog a Pechino. L’ultima puntata, un post del professor Fabio Massimo Parenti, “Perché gli Usa hanno paura della Cina?”. Se i ritmi sono questi, per la prossima non ci sarà da attendere molto.