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Il Movimento diventa partito? Meglio. Parla Federica Dieni (M5S)

Ne hanno fatto una leader dei “ribelli”. Di più: una picconatrice del governo rossogiallo. Ma Federica Dieni, giovane deputata del Movimento Cinque Stelle, calabrese, componente del Copasir, non si ritrova in nessuna delle due. Tutto nasce da quel blitz di una quarantina di parlamentari alla Camera per togliere dal dl Agosto la norma sulla proroga tecnica del numero uno dell’Aisi, i Servizi segreti interni, con un emendamento a sua firma. “Non era una questione politica, ma di metodo”, dice lei un mese dopo. Che poi, a sentirla, ha tutto fuorché l’aria della picconatrice. Semmai, ha il vizietto di dire quello che pensa. E infatti difende strenuamente l’alleanza con i dem, e pure il Movimento Cinque Stelle. Senza negarne i guai.

Federica Dieni, ha fatto pace con Giuseppe Conte?

Ma sì, ci siamo chiariti. Credo sia passato il messaggio di dare più importanza all’attività del Parlamento, il governo ne terrà conto. Nulla di personale.

Allora non vuole picconare il governo.

Perché mai dovrei? Mi sembra che i risultati dimostrino che la strada tracciata è giusta. Compreso il voto alle amministrative.

Insomma, a Reggio Calabria il Movimento ha preso il 2%.

Lì abbiamo corso da soli, di fatto è un risultato in linea con quello del 2014. In altre circostanze le alleanze sul territorio ci hanno premiato.

Quindi il matrimonio con il Pd s’ha da fare.

Dipende di caso in caso, e dai candidati. Io sono per il pragmatismo. In Calabria non siamo entrati in Consiglio regionale per i veti incrociati all’intesa con il Pd. Io avevo proposto di sottoporre a Rousseau l’alleanza con Callipo per superare la soglia di sbarramento. Non hanno voluto.

Non è che il Movimento è diventato una costola del centrosinistra?

Siamo nati come movimento trasversale. Sì, tante idee derivano da quella sensibilità politica. Battaglie dimenticate dalla sinistra, come l’acqua pubblica, l’ambiente, le misure di sostegno al reddito. Ma non siamo una costola, siamo l’ago della bilancia.

Lo sa che per Alessandro Di Battista il Pd è “la morte nera”?

Alessandro può dire quello che ritiene. Ha dato tanto al Movimento e quando manifesta dall’esterno una sua opinione, lo fa per migliorarlo. Sono sicura che darà il suo contributo nella prossima fase.

A breve gli Stati Generali, un congresso vecchie maniere. State diventando un partito?

Per un movimento politico che è un pilastro del governo è un bene. La forma fluida funziona finché sei un movimento di opposizione, di rottura. Ora è giusto cambiare approccio, ripartire dai territori, che sono stati un po’ trascurati.

Se “si avviasse la trasformazione in un partito, il nostro supporto non potrà più essere garantito”, dice Davide Casaleggio. Lei ha i conti in regola con l’Associazione Rousseau?

Tutto in regola. Se prendo un impegno, lo mantengo.

Direte addio alla piattaforma?

La piattaforma resta un fondamentale strumento di democrazia diretta. Certo, se sei al governo non si può sottoporre a quel giudizio qualsiasi decisione, anche solo per una questione di tempi. Ci deve essere una segreteria, un direttorio all’interno del Movimento.

Un capo o un direttorio?

Abbiamo provato entrambi, ci sono limiti in tutte e due le soluzioni. Io sono per una struttura collegiale, come un partito. Diverse persone che si occupano di macro-temi, e un primus inter pares con poteri maggiori.

Può essere Luigi Di Maio?

Di Maio ha dimostrato di avere qualità politiche non indifferenti. Una persona con molte sfaccettature, che si sa adeguare ai tempi e alle necessità.

A novembre parlerete della regola dei due mandati. Da superare?

Anche qui, bisogna interpretare i tempi. Sui consiglieri comunali e sui sindaci ci siamo adeguati, abbiamo messo da parte i tabù. Ovviamente qualsiasi decisione va sottoposta agli iscritti.

Vale pure per i parlamentari?

Ne dovremo parlare, l’esperienza conta e ha un peso. Magari in una seduta a parte, dopo gli Stati Generali.

Si può aprire a un’alleanza con il Partito popolare europeo?

Non mi risulta che ci sia questa possibilità, ad ogni modo ritengo che sarebbe positivo avere un organismo politico collegiale che possa adottare le decisioni più opportune in relazione anche alla nostra collocazione europea. Una casa ci serve, non avere gruppo al Parlamento europeo è limitante.

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