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Roma torna snodo dei negoziati sulla Libia. Ecco come

Visite italiane per due leader libici. Cosa si muove (tanto) attorno alla crisi che dal Paese nordafricano coinvolge diversi attori e una regione ampia da Mediterraneo e Medio Oriente. L’analisi di Melcangi (Sapienza), Mezran (Atlantic Council) e Varvelli (Ecfr)

Roma è il centro di una due giorni diplomatica sulla Libia. Oggi arriva il ministro degli Interni Fathi Bashga, che incontrerà la titolare del Viminale, Luciana Lamorgese. L’incontro ha valore tecnico, riguarda l’immigrazione dicono le fonti del governo italiano. Ma Bashaga è una figura prominente dell’esecutivo onusiano Gna ed è difficile che il dialogo non si ampi al momento che la Libia sta vivendo. Dopo anni di guerra Est-Ovest, un cessate il fuoco (che l’Onu è “abbastanza convinto” che possa durare a lungo) e l’avvio di una serie di colloqui per stabilizzare il Paese.

GLI INCONTRI ITALIANI

Politico di Misurata vicino al mondo ampio della Fratellanza musulmana, Bashaga ha forti connessioni con la Turchia (il principale stakeholder dietro alla Tripolitania e Tripoli). Il suo ruolo non è secondario se si considera che la presenza dei Fratelli è vista come uno dei principali problemi dietro alla fase di stabilizzazione in corso. Sul lato della Cirenaica infatti, sia i libici che gli sponsor esterni (Emirati Arabi, Egitto e Russia) tendono a non voler inserire un membro dell’organizzazione nei posti apicali del futuro.

Giovedì 22 ottobre a Palazzo Chigi ci sarà invece Fayez Serraj, ossia il premier e capo del Consiglio presidenziale, l’organo creato dall’Accordo politico libico uscito dai negoziati onusiani di Skhirat nel 2015. Serraj è tecnicamente dimissionario, ma per sua dichiarazione non lascerà l’incarico (conferitogli dal Palazzo di Vetro) prima di veder intavolato il processo di stabilizzazione successivo. Questo incontro con il premier Guseppe Conte è raccontato da Roma come politicamente più centrato e inquadrato nella serie di contatti negoziali in corso, da quelli a Ginevra a quello in avvio a Tunisi. Dialoghi su cui l’Onu e diversi attori internazionali come l’Italia e la Germania stanno investendo.

I NEGOZIATI A TUNISI

“L’avvio del Forum di Tunisi è molto importante”, commenta a Formiche.net Alessia Melcangi, docente di Storia contemporanea del Nord Africa e del Medio Oriente della Sapienza. “Soprattutto – continua – se si considera che una parte dei colloqui è già passata per il Marocco e anche l’Algeria sembra fortemente interessata a muoversi in questo sistema diplomatico. Paesi della regione impegnati in primo piano, con l’Egitto che mostrando interesse a mediazioni ha fatto da apripista”.

Il ruolo dell’Egitto è effettivamente cambiato: dalla posizione combattiva al fianco del miliziano ribelle dell’Est, Khalifa Haftar, ora si è spostato su una traiettoria dialogante (“sebbene non avrebbe mai avuto la forza per avviare una guerra”, aggiunge Melcangi). “Sono cambiate le figure che si occupano del Libya-file, ora gestito da esperti che vogliono una soluzione diplomatica che tuteli il loro ambito di interesse, ossia la Cirenaica e il confine; inoltre il presidente Abdel Fattah al Sisi si sente più stabile, e poi al Cairo vedono imminente il cambio di amministrazione a Washington e vogliono evitarsi problemi”, spiega Karim Mezran, senior fellow dell’Atlantic Council.

Il processo negoziale tunisino, che partirà a fine ottobre, secondo la volontà di Stephanie Williams (inviata speciale ad interim delle Nazioni Unite) dovrebbe portare alla creazione di un nuovo Consiglio presidenziale e alla nomina di un primo ministro e un nuovo governo. Tutto mirato alla convocazione delle elezioni e alla stesura di una Costituzione. Presidente e primo ministro, cariche attualmente convergenti in Serraj, dovranno essere sganciate secondo la maggioranza delle interpretazioni attuali. Nella costruzione delle istituzioni – che guardano a un sistema presidenziale – si tenderà a dare spazio a tutte le anime del Paese tramite un percorso condiviso.

IL PERCORSO 

Le varie figure stanno raccogliendo il consenso dagli attori esterni, anche regionali (“il peso di questo sostegno è molto più forte adesso”, spiega Melcangi, che è anche Non-Resident fellow dell’Atlanti Council). Tra questi, Bashaga è molto spinto per la carica di primo ministro dalla Fratellanza: attualmente è protagonista di una sorta di “campagna marketing” (la chiama così una fonte diplomatica di un Paese Ue) in cui viene pubblicizzata la sua attività contro le milizie tripoline. Un repulisti che passa anche per esempio dall’arresto del trafficante Bijia, volto noto in Italia, arrivato una settimana prima della ministeriale a Roma (coincidenze?). Tutto però ha dei limiti – come si è visto martedì sera, quando la Brigata dei rivoluzionari di Tripoli, un’unità islamista, ha rapito il responsabile della comunicazione del Gna, una delle voci più forti contro la corruzione.

Le milizie e il loro controllo (teoricamente affidato a Bashaga, con risultati non ottimi) restano un grande problema in Libia. Per appianare le complicazioni del Paese (non solo quelle Est-Ovest, ma anche le ambiguità all’interno della regione occidentale), si pensa di affidare l’incarico di presidente a una figura politica di alto rilievo e super-inclusiva della Tripolitania, mentre quello di premier andrà a un politico della Cirenaica. Durante una visita a Mosca, secondo quanto raccontano fonti di Formiche.net, a Williams sarebbe stato comunicato che l’inserimento di figure della Fratellanza in una posizione di troppo rilievo potrebbe essere problematica, tanto da portare la Russia a mettere il veto all’Onu (dove inevitabilmente si dovrà passare per ratificare le modifiche al Gna e al Consiglio presidenziale).

IL RISCHIO: GLI EMIRATI (E HAFTAR)

Una posizione che è certamente condivisa ad Abu Dhabi. “Il punto non sono tanto gli altri attori esterni, quanto gli Emirati”, secondo Mezran: “Gli emiratini affrontano il dossier da posizione dogmatica. Non hanno mutato la ragione dietro al loro impegno libico, ossia la vocazione anti-islamista. Hanno un cavallo su cui hanno scommesso, Haftar, e da cui non si sganciano: anzi, è possibile che stiano sfruttando questa fase di calma per riarmarlo e potenzialmente potrebbero avere in mente ancora una riscossa militare”.

Il ruolo emiratino è ancora più problematico se si somma con l’impegno turco: Ankara “è in Libia per restarci”, secondo Mezran, ma condivide con Abu Dhabi il terreno di sconto intra-sunnismo. Tuttavia, secondo le ricostruzione fornite a Formiche.net da fonti vicine ai negoziati, i turchi sarebbero disposti ad affrontare la mediazione con maggiore pragmatismo: ossia, non sono così interessati ad avere figure appartenenti a gruppi politici, per esempio la Fratellanza appunto, in ruoli centrali. Si accontenterebbero di mantenere la sfera d’influenza che si sono creati in Tripolitania con l’intervento anti-Haftar – elemento che hanno temuto di perdere, spiazzati dall’annuncio delle dimissioni di Serraj.

DUBBI SUL FUTURO

“Non c’è da stupirsi se a un certo punto nei prossimi mesi si arriverà a qualcosa di positivo, dunque. Una sorta di accordo Skhirat-2, tuttavia non dobbiamo dimenticare che anche nel caso di cinque anni fa l’intesa sembrava portatrice di stabilità e pace. E invece siamo qui”, aggiunge Mezran. C’è il rischio che la storia si ripeta? “Vedo molte similitudini, molti incontri, molte promesse. E molti problemi”, risponde l’esperto dell’Atlantic Council.

“Tutto sommato, considerando le posizioni dei principali attori esterni e i riflessi sulle dinamiche interne, c’è un certo scetticismo su quanto possa realmente accadere. Il rischio è che si arrivi a un altro accordo che copre sulla carta una serie di problematiche, ma saranno queste stesse a renderne impossibile l’implementazione. La Libia è un precursore della scena internazionale”, spiega Arturo Varvelli, direttore dell’ufficio di Roma dell’Ecfr.

Perché? “Dietro a certe dinamiche, per esempio quelle sulla Fratellanza, si nasconde un quadro molti più ampio – risponde il direttore del think tank paneuropeo – che per esempio passa dai possibili contatti tra Turchia ed Egitto. Ankara e il Cairo (divise da posizioni agli antipodi sull’islamismo, essendo la Fratellanza un’organizzazione terroristica per il governo egiziano) hanno intenzione di parlarsi sfruttando il dossier libico per allargare l’ottica anche all’Est Med”, il Mediterraneo orientale, area geografica le cui questioni geopolitiche si sommano alla crisi in Libia. “Hanno capito che devono trovare un modus vivendi – aggiunge Varvelli – ma siamo ancora alle intenzioni”.

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