Il primo leader straniero a inviare un messaggio di vicinanza a Donald Trump, colpito dal Covid, è stato il nordcoreano Kim Jong-un. Il satrapo di Pyongyang è descritto come molto ansioso riguardo alla malattia (ne ha ben donde: è abbondantemente in sovrappeso, è un fumatore e un bevitore incallito, si sa che ha avuto problemi di salute precedentemente, probabilmente al cuore, comanda un Paese che difficilmente potrebbe resistere a una grossa diffusione). Ma il messaggio alla Casa Bianca potrebbe rientrare anche in una nuova traiettoria che Kim starebbe imponendo alla sua leadership. Una specie di cambio di stile: sempre con un fondo propagandistico, si sta passando dalla narrativa muscolare (Kim col dito appoggiato sul bottone rosso dei missili atomici, per semplificare) a una versione più moderata (anche qui la semplificazione terminologica è d’obbligo).
Cosa sta facendo in questa fase Kim con la sua immagine? È qualcosa di senza precedenti, che esce dalla tradizione – quella con cui i suoi avi venivano descritti come semi-dei con poteri miracolosi – per prendere una via più umana? Oppure è solo una fase in cui Kim sta cercando di far sembrare il suo potere più vicino ai cittadini? Fin qui i nordcoreani sono stati considerati sudditi di un leader nato in una sorta di Olimpo, il monte Petku, discendente da un nonno (Kim Il-sung) che la leggenda vuole in grado di trasformare le pigne in bombe con cui difendere il Paese dai giapponesi durante la Seconda guerra mondiale. Ora c’è un cambio di narrazione, quanto meno momentaneo, che è stato oggetto recentemente di diverse analisi.
Secondo il Korea Herald, giornale di Seul piuttosto informato, dietro allo shift narrativo c’è una contingenza temporale: l’annuale anniversario della fondazione del Partito del Lavoro. Occasione perfetta per preparare il nuovo storytelling, che tuttavia è in parte iniziato diversi mesi fa. Da quando Kim ha avviato i primi contatti con Trump – anche quella se vogliamo assimilabile a una forma di moderazione interessata, rispetto a un avversario storico su cui si basa l’esistenza stessa della Corea del Nord e l’esigenza nucleare. Il nordcoreano da quel periodo ha cercato di spostare l’attenzione sullo sviluppo economico, sulla volontà di far aumentare la prosperità del Paese: elementi necessari anche per giustificare il dialogo col nemico americano sia davanti ai cittadini che sono cresciuti con la mentalità ostile rispetto a Washington, sia tra i gerarchi del potere e sia per togliere il tema armi dalle news (ossia accontentare Trump).
Una della analisi più riprese in questi giorni è stata scritta da Andrew Jeong (che copre il Nord per il Wall Street Journal) ed elenca una serie recente di passaggi che descrivono la traiettoria di Kim. A cominciare dalla lettera di scuse inviata (dieci giorni fa) a Seul quando i militari nordcoreani hanno ucciso un funzionario del Sud che aveva sconfinato via mare (evento unico, le scuse, per un fatto che secondo il regime è routine difensiva). D’altronde, il contatto avviato con Moon Joe-in, il presidente sudcoreano che ha sempre creduto nella riconciliazione, potrebbe essere stato uno dei fattori chiave di questo nuovo-Kim (a settembre i due capi di stato si sono scambiante lettere cordiali, secondo quanto uscito sui media, con il colloquio è ruotato molto attorno al virus). Jeong parla anche della visita (ad agosto) a Kangbuk-ri, villaggio colpito da un’inondazione: un leader nordcoreano non si reca di solito nelle aree colpite da disastri naturali perché non vuole avvicinarsi a momenti di debolezza del paese. È (per quanto assurda e lontana dal nostro modo di concepire il ruolo delle leadership) parte della narrazione.
Le visita alle aree colpite dalle alluvioni servono chiaramente a dimostrare che il leader è presente e a trasmettere al popolo la presenza di Kim durante le fasi di ricostruzione – già avviata. Ad altrettanto servono quella (sempre ad agosto) allo stabilimento per la produzione di forniture mediche di Myohyangsan, recentemente ammodernato per far fonte alla pandemia (di cui comunque non esistono numeri ufficiali), oppure all’area nei pressi dell’aeroporto internazionale di Pyongyang, dove è stata completata la costruzione di centinaia di unità abitative e di strutture pubbliche (qui il tema è la prosperità dei suoi cittadini). Un tempo i media di stato come Rodong Sinmun o l’agenzia di propaganda Kcna enfatizzavano le minacce militaresche, ora dedicano dozzine di articoli e approfondimenti a Kim tra la gente e per la gente.
Francesca Frassineti, analista esperta di Asia e di Coree dell’Ispi, spiega a Formiche.net che comunque in questo momento non ci sono troppi suggerimenti su un ammorbidimento del Nord e non sembrano esserci spazi per una nuova occasione di migliorare le relazioni intra-coreane. Il perché è una questione temporale: “La leadership nordcoreana in questo momento è completamente rivolta all’interno, ossia è focalizzata su questioni interne che riguardano la lotta al Covid e la ricostruzione dopo le inondazioni, ma è soprattutto concentrata sulle preparazioni del 75esimo anniversario del Partito che ci sarà il 10 ottobre. Un momento attorno a cui c’è molta attesa perché da mesi i satelliti che puntano la Corea del Nord mostrano movimenti militari e spostamenti che fanno pensare all’esibizione, durante la parata cerimoniale, di ulteriori lanciatori mobili (per missili balistici nucleari, ndr) o nuovi sottomarini o addirittura quella famosa arma strategica con cui Kim minacciava Trump (era il famoso “regalo di Natale” che il nordcoreano prometteva agli Usa lo scorso dicembre, ndr)”.
Una data da valutare per verificare se esistessero reali cambiamenti a Pyongyang – “la cui leadership è solida senza alcunché da aggiungere”, spiega Frassineti – è il 3 novembre, ossia il giorno della presidenziali Usa2020. L’analista italiana ricorda che solitamente il Nord intensifica dichiarazioni e provocazioni nei giorni dopo le elezioni statunitensi come “a inviare un saluto” (muscolare). Fino a quel momento è difficile prevedere reali modifiche sia sul fronte delle relazioni con Washington sia sul fronte inter-coreano. D’altronde l’alternanza di momenti più violenti a quelli più tranquilli è una caratteristica storica delle leadership nordcoreane e il ripetersi di atteggiamenti aggressivi dopo le votazioni americane potrebbe essere già un test per verificare quanto di reale ci sia dietro all’ipotetico cambiamento di Kim o quanto fosse solo una fase (propagandistica).
Va infatti tenuto conto di quanto analizzato dal Washington Post secondo l’arsenale nucleare in mano a Kim. Pyongyang, dopo i primi contatti con Trump, ha continuato per la sua strada. Anzi, proprio in virtù delle relazioni personali che il presidente americano ha voluto costruire con lui, Kim si è sentito in una posizione di forza. Stati Uniti e Corea del Nord non si sono mai trovati d’accordo su come procedere nella denuclearizzazione e la satrapia ha approfittato della successiva distrazione della Casa Bianca (da un dossier che si mostrava via via come irrisolvibile) per continuare il programma atomico. Secondo il WaPo sarebbero 15 le nuove bombe semi-preparate.
Un take interessante è anche quello di Jeffrey Lewis, professore dell’Università di Monterrey e analista del James Martin Center for Nonproliferation Studies, il quale dice che la Corea del Nord “non ha smesso di costruire armi nucleari o di sviluppare sistemi missilistici; ha semplicemente smesso di mostrarli. Ha smesso di fare le cose che generavano una copertura mediatica negativa per Trump”. Una “strategia disastrosa“, secondo Harry Kazianis, direttore del Centro per l’interesse nazionale di Washington, che ha intervistato Tom Nichols, professore alla Naval War College e alla Harvard Extension School. All’opposto invece Doug Bandow del Cato Insitutte sul National Interest sostiene che chiunque sia il vincitore dopo il 3 novembre, l’iniziativa di Trump – con tutti i suoi difetti – “deve essere tenuta in vita”. Discorso ampliato da Joshua Fitt del CNAS, secondo cui la nuova amministrazione dovrà smettere di pensare alla bromance Trump-Kim come un fattore e recuperare nel dialogo Tokyo e Seul.
Intanto il dato sul rapporto tra Pil e spesa militare della Corea del Nord – al 25 per cento, il più alto al mondo – apre altri input sulle volontà di Kim oltre le dinamiche d’immagine. D’altronde, anche il Korea Herald, attraverso informazioni dall’intelligence di Seul, annuncia che durante la parata del 10 ottobre Pyongyang potrebbe essere pronta a mostrare un missile balistico a gittata intercontinentale su cui montare le testate.