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Laudata intesa. Così Di Maio e Spadaro guardano oltre il populismo

Sono lontani i tempi dei non expedit del Movimento Cinque Stelle verso la Chiesa e il Vaticano. Di sicuro lo sono per Luigi Di Maio. Ex capo politico, ministro degli Esteri da più di un anno, il giovane di Pomigliano d’Arco con i Sacri Palazzi ci parla, si incontra, e soprattutto si intende alla grande.

Saranno i dodici mesi trascorsi alla Farnesina, a tessere una fitta rete di rapporti anche con la Santa romana Chiesa. Sarà la virata moderata che ha messo da parte i toni da corazzata anti-establishment di un anno fa e ne ha fatto un interlocutore credibile, e apprezzato, di papa Francesco e la sua curia.

Così non ha sorpreso i presenti a un convegno organizzato da Formiche a Palazzo Santa Chiara per richiamare l’enciclica “Laudato si’”, “Laudata Economia”, sentire il ministro pentastellato dialogare in piena sintonia sul palco con padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica, fidato consigliere gesuita del papa.

“Era da quattro anni che non partecipavamo a un panel insieme”, esordisce Di Maio. Correva l’anno 2016, e l’allora vicepresidente della Camera, capo-popolo all’opposizione contro il governo di Matteo Renzi, incontrava Spadaro nel chiostro di Santa Maria sopra Minerva, lasciando attoniti i cronisti con una frase che oggi non farebbe più notizia: “La Chiesa è casa mia”.

Di Maio si sente davvero a casa sua. Soprattutto in “questa” Chiesa, quella di papa Francesco e dell’enciclica “Fratres Omnes” appena firmata, che lancia un appello alla fratellanza universale e un assist alla pace in Medio Oriente. Non a caso Di Maio la definisce “un trattato di geopolitica”. La tensione al multilateralismo, al dialogo e al negoziato sottesa a quel testo “è una scelta di campo”, dice. “Due o tre anni fa non avrebbe avuto la stessa eco. Oggi in tutte le aree di crisi ci sono ormai due forze in campo. Chi vuole risolverle con le armi, chi con la diplomazia”.

La diplomazia, “il potere gentile”, come la chiama lui, è la chiave di interpretazione con cui Di Maio spiega il suo anno a capo degli Esteri. Quel “potere sobrio” di cui ha parlato diffusamente in una recente intervista a Formiche.net non è un espediente per sfuggire a una scelta di campo fra Oriente e Occidente, e chi la vede così indulge in “un atteggiamento calcistico”.

Di Maio difende “l’Italian way” alla politica estera chiamando in causa una frase di papa Francesco pronunciata durante il picco della pandemia del coronavirus: “Nessuno si salva da solo”. Spadaro gli fa sponda con un inno al multilateralismo. “I grandi problemi, come il Covid, non si risolvono con una mentalità nazionalistica o bilaterale. Alcune grandi potenze tendono a tenere i dialoghi in questo modo, bisogna lavorare per superare questa logica”. Non sfugge un riferimento all’amministrazione americana di Donald Trump, alla sua allergia ai tavoli multilaterali, alle sue distanze mai celate verso l’idea di diplomazia di Francesco (e dei gesuiti).

Distanze che riaffiorano, più velate, quando Di Maio elegge l’Onu a esempio da seguire, tanto da auspicare “un seggio al Consiglio di Sicurezza per l’Ue”. Quell’organizzazione, in questi giorni nell’occhio del ciclone per aver eletto Cina, Russia e Cuba nel Consiglio per i diritti umani, “è, in sostanza, l’unico posto in cui vediamo i grandi della terra votare allo stesso modo, spesso salvando vite umane”, dice il ministro.

Lo scambio con il direttore della rivista gesuita, insieme al giornalista Riccardo Cristiano, rivela una comunanza di intenti che è squisitamente politica. È lo stesso Spadaro a rivendicare che “il Vangelo non è un’astrazione spirituale, va applicato nella Storia”.

Ecco allora che “Fratelli Tutti”, come prima la “Laudato si’”, può riempire di contenuto quel nuovo contenitore politico, dai contorni ancora indefiniti, in cui Di Maio sembra voler traghettare a suo modo il Movimento Cinque Stelle.

I passaggi più “politici” dell’enciclica di Francesco trovano eco nelle parole di Spadaro e Di Maio. Quando il primo sostiene che “se siamo fratelli siamo cittadini, non di serie A e serie B, ma di una cittadinanza comune”, e il secondo rivendica che “i fenomeni migratori non sono incontrollabili, se riusciamo a stringere insieme all’Ue accordi di partenariato per rilanciare le economie e lo sviluppo sociale dei Paesi di provenienza”.

Il cambio di passo politico emerge in modo evidente quando il leader dei Cinque Stelle spiega come la pandemia abbia dimostrato “che è impossibile lavorare con i nazionalismi”, e, aggiunge (rivolto anche ai suoi colleghi di partito?) che “chi parla con gli slogan non ha capito che il mondo è cambiato”.

Dall’Egitto alla guerra in Libia, dal caso Navalny alle tensioni fra Grecia e Turchia, Di Maio richiama di continuo la via mediana, costruita sul “soft power” della diplomazia italiana, che si fa forte della mediazione e dell’autorità del Vaticano.

E fissa una road map di lungo periodo, ricordando due appuntamenti che lo vedranno protagonista. La presidenza italiana del G20 e la co-presidenza del Cop26 sull’ambiente. Anche lì l’enciclica di Francesco si dimostrerà un prezioso supporto. Un’altra dimostrazione, come dice Spadaro, che “il riconoscimento della fratellanza è un forte messaggio dal valore politico”.

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