Allora non sono solo rumors. Giancarlo Giorgetti vuole davvero una Lega che parla con il Partito popolare europeo (Ppe). Lo dice da un po’: il Carroccio deve uscire dall’angolino sovranista in cui si è infilato nel maggio dell’anno scorso. Adesso però non usa più veli. Dal palco di Catania, durante la kermesse al porto che ha radunato tutto lo stato maggiore del centrodestra e migliaia di sostenitori per dare supporto a Matteo Salvini in vista del processo sul caso Gregoretti questo sabato, Giorgetti va dritto al punto.
“Penso che un partito come la Lega che governa, direttamente e indirettamente, 15 Regioni italiane abbia non soltanto il diritto, ma il dovere di dialogare con si candida a guidare la Cdu, il Ppe e l’Europa” ha detto il vice durante l’incontro. Non sono parole casuali, ma una road map disegnata dal primo consigliere del leader e dal responsabile Esteri del partito, volto di punta della vecchia e nuova guardia.
“Dico come la penso io. Che ci piaccia o no, l’Europa esiste. L’Europa va dove va il Ppe, e il Ppe va dove va la Cdu tedesca”. La rivoluzione della Lega passa anche da Bruxelles. Lì inizia il re-styling che può accreditarla di fronte alle cancellerie (non solo) europee non più come partito di opposizione, “anti”, ma come forza di governo. Inutile bussare alla porta di Palazzo Chigi se in Europa non si tocca palla.
Dice Giorgetti: “Premesso che i matrimoni si fanno in due, se io dicessi che non me ne frega niente della Cdu e del Ppe direi una cretinata. Noi siamo un partito che governa bene e ha governato bene, quindi siamo uno dei protagonisti della politica europea”.
Non è certo una boutade quella del numero due della Lega. Già nelle scorse settimane, all’indomani dello stop inferto dai risultati delle regionali, Giorgetti aveva fatto capire che un cambio di passo era necessario.
Come quando ha avvertito i suoi del rischio di finire etichettati come eterni filorussi agli occhi degli alleati, dopo quel voto della truppa leghista all’Europarlamento contro la risoluzione che condannava l’avvelenamento di Alexei Navalny. E non è l’unico ad avvertire il rischio “stigma”.
Perfino l’ex ministro dell’Agricoltura Gian Marco Centinaio, che certo non è tacciabile di appartenere alla schiera dei “moderati”, ha ammesso a Formiche.net che quel voto in solitaria “forse si poteva evitare”.
L’idea di aprire un canale con il Ppe comincia a fare proseliti fra i generali del Carroccio. In una recente intervista alla Fondazione De Gasperi (fondazione che, tra l’altro, fa riferimento proprio al Ppe), il presidente del Copasir Raffaele Volpi ha confessato che “forse bisogna nuovamente considerare quali sono gli spazi comuni”.
Salvini per ora tira il freno. “Ho chiesto il voto degli italiani per cambiare l’Europa e la cambio con la Merkel?”, ha sbottato da Barbara D’Urso pochi giorni fa. Fra i suoi però cresce l’apprensione per la cavalcata europea di Giorgia Meloni, appena eletta presidente dei Conservatori europei, forte di un balzo nei sondaggi che un po’ deve anche alla svolta moderata di questi mesi.