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Perché le chiusure (anche localizzate) uccidono le imprese. Il commento di Pirro

Perché deve pagare il mondo delle imprese e del lavoro l’incapacità di molti assessori regionali alla sanità (qualunque sia il loro colore politico) di far funzionare al meglio la medicina di territorio? Ecco perché i lockdown, anche localizzati, possono mettere a rischio la tenuta economica dell’Italia. Il commento di Federico Pirro, Università di Bari

È francamente sconcertante la crescente ansietà con cui molti epidemiologi, organi di stampa ed osservatori politici commentano i dati giornalieri sull’andamento della pandemia, arrivando a chiedere ma anche ad ingiungere (in alcuni casi) minilockdown per quartieri, piazze, o anche di intere città sia pure di minori dimensioni, o di vasti settori produttivi: minilockdown localizzati che, nelle intenzioni di taluni, dovrebbero preludere ad un ormai ritenuto inevitabile lockdown generalizzato nell’intero Paese.

E bene ha fatto allora il presidente Conte ad affermare anche al Senato che non è ipotizzabile tale chiusura generale dell’Italia che – è bene che lo comprendano tutti, nessuno escluso  – non è in condizioni di reggere economicamente, ancor prima che psicologicamente, un lockdown prolungato come quello dei mesi di marzo e aprile.

E pertanto – mi si consenta di dirlo con un pizzico di irritazione – sta diventando ormai insopportabile il vaniloquio di coloro che spingono per chiusure sempre più severe nel Paese, parlando però ben al riparo dei loro elevati emolumenti e delle loro ricche pensioni: è fin troppo facile infatti asserire, suggerire con supponenza e persino pretendere di imporre misure drastiche, dimenticando in tal modo (colpevolmente) che centinaia di migliaia di persone purtroppo hanno già perso il lavoro (che spesso era anche precario), e che non vi sono più abbondanti risorse pubbliche per sovvenirle con bonus e cig di varia natura. Una cig, è bene ricordarselo, che ancora oggi – dalla scorsa primavera – molti potenziali beneficiari non hanno ancora percepito dall’Inps, presieduto da Pasquale Tridico, cui il presidente Conte – ce lo siamo dimenticati? – quando si è trattato di prendere atto dell’aumento dei suoi emolumenti ha ingiunto di “lavorare anche la notte” per erogare (finalmente) la cig a chi ne aveva diritto e non l’aveva ancora ricevuta. Allora, sarebbe interessante conoscere quante notti il presidente Tridico e il top management dell’Inps abbiano (effettivamente) trascorso alla sede centrale dell’Istituto per adempiere quanto loro ingiunto dal presidente del Consiglio, e con quali esiti lo abbiano fatto in termini di disbrigo delle relative pratiche.

Ma torniamo al dunque: si adoperino le mascherine senza se e senza ma, si pratichi ovunque possibile il distanziamento fisico, ci si lavi pure le mani sino a consumarsele con saponi e igienizzanti di ogni tipo, si intervenga con severità sugli assembramenti, si facciano tutti i controlli della forza pubblica (e dell’esercito) previsti dove necessari, si facciano rispettare le quarantene e gli isolamenti fiduciari, si aumentino con i gestori di autolinee private i mezzi di trasporto per le scuole, se ne cambino gli orari di ingresso degli studenti: ma la si smetta (una volta per sempre) di chiedere a gran voce, o persino di minacciare, lockdown natalizi o prenatalizi, cercando invece di mantenere il sangue freddo, guardando bene i dati dei nuovi contagiati che in migliaia di casi risultano fortunatamente asintomatici e pertanto non bisognosi di ricoveri in ospedale.

Ma perché poi deve pagare il mondo delle imprese e del lavoro l’incapacità di molti assessori regionali alla sanità (qualunque sia il loro colore politico) di far funzionare al meglio la medicina di territorio, le Usca e ogni altra forma di intervento sanitario senza che vengano saturati i nosocomi e conseguentemente sollecitati i lockdown? E se le terapie intensive si stanno riempiendo, i direttori delle Asl (anch’essi ben retribuiti) trovino i posti ovunque possibile, riaprendo (ad horas) in certe regioni ospedali dismessi, o chiedendo che vengano utilizzati (se del caso) anche ospedali militari. A Bari – solo per fare un esempio – da anni è in totale disuso un’imponente struttura ospedaliera militare peraltro già infrastrutturata o rapidamente infrastrutturabile per contribuire a fronteggiare l’emergenza Covid-19. E poi non si comprende perché – in certe regioni ove opera da decenni una vasta rete di strutture ospedaliere private convenzionate come in Puglia – essa sia stata mobilitata solo molto marginalmente nell’assistenza ai pazienti da Covid-19.

L’intervista di ieri del Dott. Arcuri sul Corriere della Sera ha chiarito ancora una volta il grande lavoro svolto dalla sua gestione commissariale per dotare il Paese di tutto quanto necessario per fronteggiare la pandemia, per cui oggi la situazione non è in alcun modo paragonabile a quella (drammatica) del marzo scorso.

E inoltre non è certo un caso che il ministro Roberto Gualtieri parli di forte incremento del pil nel terzo trimestre dell’anno – già stimato dalla Banca d’Italia, ancora prima che dall’Istat, in un 12% sullo stesso trimestre dello scorso anno – senza alcuna allusione a lockdown generalizzati che frenerebbero la crescita del Paese, da lui ipotizzata già per il 2020, pur in flessione rispetto al 2019, comunque più alta di quanto non sia previsto da Fmi, Ue, Confindustria e da alcuni centri studi. Probabilmente il ministro parla “a nuora perché suocera intenda”, cominciando da qualche suo collega ministro, da qualche suo consulente e da taluni epidemiologi che ormai si sono assegnati il ruolo di cassandre d’ufficio che purtroppo non dimostrano particolare dimestichezza con i fondamentali dello sviluppo economico, di cui ignorano persino i primi rudimenti.

E in conclusione ci si consenta di ricordare ai rigoristi in servizio permanente effettivo di passare solo qualche ora nelle sedi delle Caritas diocesane, perché così capirebbero meglio (forse) quale è la reale situazione esistenziale quotidiana di una parte sofferente non certo piccola del Paese.



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