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M5S, è ora di diventare grandi. Dalla Cina al Pd, i consigli del prof. Mayer

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Dalle ambiguità cinesi al Movimento che si fa partito. Per i Cinque Stelle è arrivato il momento di decidere cosa faranno da grandi. Ecco i consigli non richiesti del professor Marco Mayer (Luiss)

Nel mondo della post pandemia alcuni paesi guadagneranno posizioni in termini di benessere e sicurezza; altri, invece, usciranno indeboliti. Da cosa dipenderà il successo o l’insuccesso delle nazioni?

Uno dei fattori più rilevanti sarà l’approccio adottato dalle classi politiche durante la lunga e drammatica fase di emergenza iniziata – almeno ufficialmente – il 17 novembre 2019 (e ignorata per ben 2 mesi e mezzo) nell’ospedale di Wuhan nella provincia cinese dell’Hubei.

A quasi un anno di distanza l’analisi dei comportamenti delle classi politiche si può ridurre al seguente dilemma: ha prevalso la miopia o la lungimiranza? In altre parole i governi e i partiti al potere si sono limitati a fronteggiare (con maggiore o minore efficacia) l’emergenza o hanno avuto la capacità di collegare risposte immediate e strategie di rilancio di medio e lungo periodo?

Dopo la crisi sanitaria di Wuhan l’Italia è stato il primo Paese europeo ad essere colpito dal Covid 19. Nei mesi che stanno alle nostre spalle le reazioni dei cittadini e le risposte delle autorità (in primis quelle sanitarie) sono state abbastanza efficaci, se si eccettua il dramma delle residenze protette per gli anziani (Rsa).

Proprio in questi giorni un giornale di solito severo come Politico ha fatto i complimenti all’Italia ed al suo presidente del Consiglio per la gestione della crisi.

Non è la prima volta che l’ Italia si fa onore nel reagire con efficacia alle emergenze (terrorismo rosso e nero, stragi di mafia, catastrofi naturali, ecc). Il problema però è il dopo.

Quando si deve passare alla strategia l’Italia per molteplici ragioni (non ultime le divisioni politiche) tende a barcamenarsi e a non decidere. Sulle esperienze negative dei post terremoti si potrebbe scrivere una lunga lista di occasioni perdute.

Le battaglie vittoriose contro le mafie non sono riuscite a trasformarsi in una strategia adeguata (come fu viceversa “il metodo Falcone”) all’altezza delle odierne trasformazioni geopolitiche dell’universo criminale.

Sui media abbiamo letto fiumi di inchiostro su una presunta trattativa di 30 anni fa, ma il nostro giornalismo investigativo – salvo pochissime eccezioni – non è stato sinora in grado di raccontarci i radicali cambiamenti seguiti alle stragi Falcone e Borsellino e di accendere i riflettori sui labirinti e i canali finanziari transnazionali che la criminalità organizzata (italiana e non) ha organizzato avvalendosi delle tecnologie più avanzate su scala globale.

Collegare l’emergenza con le prospettive di medio e lungo periodo non è impossibile. La condizione necessaria è che la politica si nutra di pensiero critico strategico e non resti totalmente schiacciata sul presente, schiava della pressione mediatica e dei sondaggi quotidiani.

Alla vigilia degli Stati Generali del Movimento 5Stelle un progetto strategico per il futuro dell’Italia in Europa e nel mondo non è ancora emerso dalla discussione.

Vito Crimi insiste, ma la ” terza via” è stata per tutti i partiti una formula logorante, una formula che alla lunga non paga perché alla fine scontenta l’elettorato. Attenzione: potrebbe diventarlo anche per i Cinque Stelle.

Per definire un’identità politica non basta la negazione, non basta dire non sono né di destra né di sinistra, non sono né comunista né socialdemocratico, né socialista né liberale. Il rischio è quello di essere (o di essere percepiti, che in politica è la stessa cosa) come un movimento politico né carne né pesce.

Nell arcipelago dei Cinque Stelle solo Beppe Grillo (da quanto si può dedurre dal suo blog) sembra avere una posizione chiara, quanto meno in politica estera.

Per Grillo la speranza a cui l’Italia deve agganciarsi sembra essere la Cina. La posizione geografica dell’Italia ha in effetti una rilevanza strategica per la Via della Seta, con i suoi porti affacciati sul Mediterraneo e le sue infrastrutture digitali sottomarine che collegano l’ Europa all’Africa e al Mediorente.

Per molti aspetti l’Italia ha già questo ruolo, ma in futuro potrebbe ulteriormente potenziare la mission di partner e “driver” delle aziende tecnologiche cinesi nell’area euromediterranea.

Il 14 e 15 novembre una strategia come quella che ho attribuito a Grillo (spero non arbitrariamente) potrebbe essere condivisa da Alessandro Di Battista (e anche da autorevoli esponenti della sinistra non grillina), ma non dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio.

Di Mio non solo è molto piu prudente con Pechino rispetto a quando era titolare del Ministero per lo Sviluppo economico, ma persegue una politica europeista e atlantica dal profilo molto netto.

Le divaricazioni che sembrano emergere all’interno del Movimento in materia di politica estera si pagano. Un solo esempio. Esse hanno sinora impedito al presidente del Consiglio di prendere decisioni strategiche in materia di 5G, telecomunicazioni ultraband e politica digitale.

Per far passar dalle maglie del Golden Power un progetto Tim/Huwaei (ed altre iniziative analoghe) si è fatto ricorso ad una serie di Dpcm che contengono prescrizioni non verificabili né sanzionabili.

Il fornitore cinese (o comunque extra Ue) deve, infatti, siglare con il gestore telefonico una clausula contrattuale in cui si impegna a non fornire alcuna informazione al proprio Governo o a governi stranieri.

Peccato che 4 leggi cinesi prevedano l’esatto contrario. Un Dpcm di Giuseppe Conte dovrebbe impedire a un’azienda come Huawei di adempiere agli obblighi informativi previsti dalla legislazione di Pechino.

È evidente che si tratta soltanto di un artificio giuridico per aggirare un problema e per far lavorare in Italia le aziende cinesi, evitando ogni forma di veto anche quando in palese violazione del Gdpr.

Così non si può continuare: sulla Cina, come su altri dossier, il Movimento 5 stelle ha il dovere di assumere una posizione chiara.

Ignorare le proteste dei ragazzi di Hong Kong o delle donne dello Xinjiang è una scelta legittima, per quanto dolorosa. Così come qualcuno deve spiegare a Di Battista e Casaleggio che tertium non datur: non si può stare con un piede dentro la Nato e uno fuori. Per gli Stati Generali dei 5 Stelle è dunque giunto il momento delle grandi scelte: auguri di buon lavoro.

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