Le scelte collettive relative all’“Agenda politica, all’organizzazione, alle regole e principi”, oggetto del dibattito pre-congressuale, potrebbero rappresentare l’epifania di una nuova e interessante “cosa”, un’inedita forma partito innestata nel tempo nuovo della politica italiana, specie se gli “affrancamenti” dai tutoraggi aziendali consentiranno l’avvento di una dialettica democratica vera ed una contendibilità dei vertici reale…
A rigore filologico dovremmo intendere per Stati Generali qualcosa che ha a che fare con l’ancient regime francese pre rivoluzionario. Infatti gli États généraux altro non erano se non l’Assemblea – di origine addirittura feudale – dei rappresentanti dei tre stati sociali, clero, nobiltà e terzo stato (che comprendeva dai grandi borghesi ai braccianti), convocata dal re in casi di pericolo per la nazione. Furono spazzati via dalla Rivoluzione del 1789. È curioso che sia evocato questo nome per indicare l’assemblea di una forza politica italiana che si volle rivoluzionaria e fondatrice della nuova terza Repubblica: apparirebbe un processo letteralmente inverso a quello storico. Una svista? O forse no.
Il M5S dunque fa qualcosa di simile ad un congresso rifondativo chiamato Stati Generali. Lo fa con una procedura complessa che ha avuto inizio qualche giorno fa e si dovrebbe chiudere a metà novembre. Ovviamente la parte principale l’avranno le piattaforme digitali (ma non quella di Rousseau), linfa di cui è impastato il Movimento fin dalle origini. Già una prima tornata di incontri regionali si è svolta nello scorso week end e nei prossimi giorni si terranno altre riunioni con la prosecuzione nei fine settimana dei nuovi incontri regionali.
Secondo programma si dovrebbe chiudere il 14 e 15 novembre con un meeting nazionale, rigorosamente in rete, con il coinvolgimento di 305 militanti – in altri luoghi e in altri tempi li avremmo chiamati delegati – indicati dai territori. Il dibattito pre-assemblea verte intorno a tre temi (agenda politica, organizzazione, regole e principi) che rappresenteranno il menù del dibattito di metà novembre, al termine del quale verrà prodotto il documento finale degli Stati Generali. Il contesto allarmante della pandemia che galoppa e si moltiplica e, forse, l’andamento diluito che ne fa un lungo prolegomeno di antico sapore first Republic, stanno sottraendo luce mediatica ad un congresso che, oltretutto, sembra non porsi l’obiettivo di “chi”, ma essenzialmente di “come”. Insomma il Movimento 5 Stelle che si è insediato nel Palazzo d’Inverno, emancipato dall’ipoteca aziendale di Casaleggio, alleggerito dei rodomontismi battistiani in salsa latino-americana, colpito dalla distrazione insoddisfatta di Grillo, prova a farsi partito. Lo fa guardando a modellistiche da inventare perché in giro non ci sono ma che forse, guardando al passato, hanno lasciato qualche traccia nell’immaginario dei dirigenti: un po’ Democrazia cristiana e un po’ agorà digitale, ma sempre con minore trasporto per quest’ultima.
Di Maio, che in questa partita appare il più lucido, ha compreso che non si può scommettere in eterno sul consenso alla parola d’ordine rivoluzionaria se poi non sei più l’antagonista e l’ammazzacasta ma stai al governo da tre anni. Il suo obiettivo allora resta la forma-partito, da inventare di sana pianta, creando gruppi dirigenti nel territorio, per tentare di colmare quel baratro tra voto politico e voto locale che ha condannato il Movimento all’irrilevanza nei Comuni e nelle Regioni. E poi la questione delle alleanze, che non sono evitabili in una democrazia liberale prodotta, peraltro, con la regola proporzionale. Perché nel 2013 e nel 2018 il M5S ha potuto fare la sua campagna elettorale in splendida e altezzosa purezza, ma adesso, dopo le coabitazioni al governo con Lega prima e poi col Pd, non funzionerebbe più. E allora vale la pena fare il salto e dichiarare che le alleanze non sono il corrompimento della purezza ma il modo che conosce la democrazia di fare governo.
Le scelte collettive relative all’“Agenda politica, all’organizzazione, alle regole e principi”, oggetto del dibattito pre-congressuale, potrebbero rappresentare, allora, l’epifania di una nuova e interessante “cosa”, un’ inedita forma partito innestata nel tempo nuovo della politica italiana, specie se gli “affrancamenti” dai tutoraggi aziendali consentiranno l’avvento di una dialettica democratica vera ed una contendibilità dei vertici reale. Se non sarà così il M5S sarà destinato a seguire il percorso dei tanti partiti dotati di rappresentanza parlamentare ma non di consenso popolare che hanno attraversato la vita pubblica nazionale. Più o meno come nei tanti ancient regime del passato. Remoto e recente.