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Caro Di Maio, 300 milioni valgono bene un Mes. La versione di Marattin

Il presidente della Commissione Finanze della Camera e deputato di Italia Viva: dall’intergruppo parlamentare un segnale al premier affinché la smetta di dare retta a mesi di bugie e faccia finalmente una vera riflessione su dei fondi di cui la sanità ha un disperato bisogno. A Di Maio dico che 300 milioni all’anno di risparmi su 37 miliardi sono tanti soldi. Il debito italiano è sostenibile, ma se si fa cilecca sul Recovery Fund la musica cambierà

Nelle ultime 48 ore, mentre la pandemia torna ad avanzare pericolosamente, aprendo la strada ai primi lockdown, la politica è tornata a dividersi sul Fondo Salva Stati.

Lo stallo, alimentato anche dalle ultime parole al riguardo del premier Giuseppe Conte negli ultimi giorni, ha prodotto una prima reazione parlamentare: la nascita dell’intergruppo pro-Mes al quale hanno aderito un po’ tutti i partiti, persino esponenti del Movimento Cinque Stelle che da sempre lo rifiuta, (con qualche eccezione, qui l’intervista al deputato M5S favorevole, Giorgio Trizzino). Tra i promotori dell’intergruppo Luigi Marattin di Italia Viva, presidente della Commissione Finanze della Camera. E proprio a Marattin Formiche.net ha chiesto il senso e l’obiettivo dell’operazione parlamentare, che punta a far cambiare rotta al governo.

Marattin, ieri è nato ufficialmente l’intergruppo parlamentare per il Mes, di cui Italia Viva è anima e corpo. Un segnale a Conte affinché esca dall’ambiguità e scelga se accettare o meno i 37 miliardi per la sanità?

Innanzitutto un segnale affinché questo dibattito sia svolto, per la prima volta in sei mesi, sulla base dei fatti e delle informazioni reali e non degli slogan, se va bene, o delle bugie, se va male, come pare purtroppo stia andando. In secondo luogo, certo, gli aderenti al gruppo sono convinti che sia totalmente irrazionale rifiutare tale opportunità. Tanto più sulla base di argomentazioni non vere.

Luigi Di Maio in un post su Facebook ha ripreso la tesi del ministro Gualtieri. E cioè che il Mes altro non è che un risparmio di 300 milioni su 37 miliardi. Per Gualtieri tanto basta ad accettare i fondi, per Di Maio non si sa. Speranze di ravvedimento grillino?

La questione è molto semplice. Se avessimo fatto ricorso al Mes la mattina del 16 maggio, quando è diventato disponibile, non solo avremmo già incassato il 90% del contributo, ma avremmo anche incorporato il nuovo deficit nel quadro macroeconomico battezzato con la Nota di aggiornamento al Def di inizio ottobre, e fatto le scelte conseguenti per mantenere il nostro rapporto debito/Pil su un sentiero discendente.

Ma le cose sono andate diversamente…

Sì. E non avendolo fatto, perché abbiamo perso sei mesi dietro alle falsità della troika, delle condizionalità ecc., ora è probabilmente più saggio, ma non certo obbligatorio usare il Mes solo per finanziare, a costo molto più basso, le spese sanitarie già incorporate nel nuovo quadro di finanza pubblica. Questo ci darebbe un risparmio di 300 milioni di euro l’anno per 10 anni. Per dare un termine di paragone, nella prossima legge di bilancio aumenteremo i fondi per l’Università di 165 milioni, per il fondo non autosufficienze di 100 milioni, per i disabili che hanno perso i genitori di 20 milioni. E per un sesto di quel risparmio (50 milioni) abbiamo eliminato più di un terzo dei parlamentari. Insomma, non so Di Maio, ma io 300 milioni di euro l’anno per 10 anni saprei bene cosa farne.

Marattin, l’Italia è alle prese con la seconda ondata, con la ragionevole prospettiva di un sistema sanitario sotto stress entro poche settimane. Eppure sul Mes si alzano le barricate. Mi sfugge qualcosa?

Questo lo deve chiedere a chi, prima sulla riforma del Mes (nel dicembre scorso) e poi sulla nuova linea pandemica (in aprile) ha inquinato il dibattito pubblico con un quantitativo di menzogne e falsità che non si sono mai viste nella storia di questo Paese. Spesso col colpevole silenzio di parte del mondo dell’informazione.

Parliamo della seconda ondata. Le Regioni sembrano ormai andare in ordine sparso in merito alle misure con cui fronteggiare il Covid. Ma così facendo non si rischia il caos? Forse è tempo di decisioni più centralizzate e lineari… o no?

Tra i tanti temi strutturali che questo Paese deve affrontare, in attesa di avere un clima politico e una classe dirigente in grado di farlo con competenza e serietà, c’è il porsi il tema di quali funzioni pubbliche, nel mondo globalizzato, sia più ottimale gestire a livello nazionale e quali a livelli di governo sub-nazionali (regioni e comuni, senza dimenticare lo stallo che ancora abbiamo sulle province). Questa domanda non ha la stessa risposta che aveva 30 anni fa, quando questo dibattito è partito. E riguardo la sanità, ce lo ha tristemente ricordato questa maledetta pandemia.

Pandemia fa rima con debito, se si guarda all’aumento del nostro disavanzo certificato dalla Nota di aggiornamento del Def. Il governatore di Bankitalia Visco ha ribadito pochi giorni fa come il nostro debito sia sostenibile. Ora mi dica se tale affermazione può valere nel lungo termine alla luce di un Pil la cui risalita, il prossimo anno, non compenserà il crollo di quest’anno.

Il giorno in cui l’emergenza Covid sarà finita, il nostro debito pubblico sarà da qualche parte tra il 150 e il 160% del Pil, se tutto va bene. Se torniamo a crescere al livello medio degli ultimi dieci (-0,25%), venti (0,45%) o persino trent’anni (0,9%), considerato che almeno nel breve periodo l’inflazione non dà segni di vita (e c’è chi dice che non lo darà per un pezzo), l’unico modo per evitare che il rapporto debito/Pil continui a crescere è realizzare imponenti avanzi primari, la cui dimensione probabilmente a sua volta soffocherebbe lo stesso tasso di crescita del Pil, avvitandoci in una spirale estremamente pericolosa.

Vicolo cieco. E allora?

L’unica via di uscita è nei prossimi 12-18 mesi prendere le decisioni giuste, sia macroeconomiche che microeconomiche, per fare le riforme che servono a innalzare permanentemente il nostro tasso di crescita a livelli superiori a quelli degli ultimi trent’anni. In primis l’utilizzo saggio del Recovery Fund, con riforme a cui accompagnare spesa, e non il contrario e poi una riforma fiscale che cambi totalmente sistema e ci restituisca un fisco molto più semplice e più leggero su chi lavora e produce.

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