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Le mascherine, senza o con pazienza. La riflessione di D’Ambrosio

Sarà un autunno-inverno con poche maschere e tante mascherine! Sappiamo che un’interpretazione etimologica della parola persona, individua le origini del termine nell’etrusco e nell’indi, con riferimenti a “personaggi mascherati”, a loro volta, derivanti dal greco prósōpon, che indica sia il volto dell’individuo, sia la maschera dell’attore e il personaggio rappresentato (Etimoitaliano.it). Giocando con l’antichità potremmo chiederci: sarà la maschera-mascherina a prendere il posto della persona? Al di là dei giochi, la realtà dei nostri volti ricoperti ci impone di rivedere alcuni aspetti delle nostre persone-maschere e delle relative relazioni.

Il volto che scompare, dietro una maschera, diventa una fatica: difficile riconoscersi, impossibile comunicare con la mimica facciale e, spesso, gli occhi non bastano. Ci resta, alcune volte, solo la parola. La fatica si accresce con il fastidio fisico di indossarla per tanto tempo. Penso a chi lo deve fare per lavoro e ne soffre terribilmente per la sua respirazione e per la sua pelle; penso a chi si deve difendere bene perché già provato dal virus o da altre malattie. Tutte queste persone – noi fra queste – esercitano la loro responsabilità; principio etico che è giustamente ritornato più volte nei discorsi tra di noi e in quelli delle autorità. Ma ora sembrerebbe che la responsabilità non basti. È anche il tempo della pazienza.

Il temine “pazienza” – sappiamo bene – viene dal latino pati: sopportare, soffrire, tollerare e dal greco paskein: provare, ricevere un’impressione, una sensazione (sia positiva, sia negativa), sopportare, soffrire. Credo che proprio la pazienza sia la virtù del momento. Il virus non dà tregua e abbiamo da attendere… pazientemente! Attendiamo che perda forza; che si scopra un vaccino valido e potente; che si ripristinino alcune condizioni ambientali essenziali (specie nei Paesi poveri); che il sistema sanitario si rafforzi con politiche efficienti ed efficaci; che le relazioni, nonostante la mascherina e la distanza, siano potenziate con altri mezzi; che l’economia si riprenda con vigore.

La pazienza è accettare anche la legge della gradualità. È nell’ordine della natura un procedere attraverso gradi e stadi. Scriveva William Shakespeare: “Quanto poveri sono coloro che non hanno pazienza! Quale ferita è mai guarita se non per gradi?”. E c’è gradualità anche nel capire, combattere e superare la sfida del Covid; nell’approntare le necessarie misure economiche.

Lavoro difficile e indispensabile, quello della pazienza. Infatti la pazienza è un atteggiamento “pieno”, non “vuoto”. Si soffre e si attende ma in maniera operativa, fattiva, costruttiva. Lo fanno già coloro che hanno responsabilità sociali, sanitarie e politiche. Lo fanno meno, quasi per niente, coloro che vivono nell’eterna lamentela e nell’interminabile critica di tutti e di tutto. E tra questi coloro che non rispettano le regole, non usano la mascherina e ne fanno anche un vessillo ideologico e politico. È innegabile che proveniamo da una cultura, in buona parte, che si crea regole a seconda dei casi o non le rispetta affatto. E qui il problema è di testa e non di Dpcm. “La cultura viene prima delle regole – ha scritto Gherardo Colombo – se non cambia la cultura, le regole, che non le sono coerenti, non vengono rispettate”. E tra i deficit della nostra cultura legale si insidiano i “senza mascherina né ora né mai – quella a seconda dei casi – la mascherina sotto mento – quella secondo me” e così via. È preoccupante vedere quanto questi atteggiamenti negativi siano contagiosi, specie tra piccoli e giovani: essi provano la scarsa tenuta etica del nostro Paese (e non solo).

La pazienza è tutt’altro rispetto al raggirare le regole, all’adolescenziale “volere tutto e subito”, allo stancarsi nel giro di un’ora, allo sciacallaggio politico di una parte dell’opposizione, ai commenti salottieri di chi non ha mai fatto un’ora di volontariato, al ridicolo negazionismo di alcuni capi di Stato, alle previsioni catastrofistiche (magari anche infarcite di false idee religiose). “Il colpo duro e inaspettato di questa pandemia fuori controllo – ha scritto il papa nell’ultima enciclica Fratelli tutti – ha obbligato per forza a pensare agli esseri umani, a tutti, più che al beneficio di alcuni. Oggi possiamo riconoscere che ci siamo nutriti con sogni di splendore e grandezza e abbiamo finito per mangiare distrazione, chiusura e solitudine; ci siamo ingozzati di connessioni e abbiamo perso il gusto della fraternità. Abbiamo cercato il risultato rapido e sicuro e ci troviamo oppressi dall’impazienza e dall’ansia. Prigionieri della virtualità, abbiamo perso il gusto e il sapore della realtà. Il dolore, l’incertezza, il timore e la consapevolezza dei propri limiti che la pandemia ha suscitato, fanno risuonare l’appello a ripensare i nostri stili di vita, le nostre relazioni, l’organizzazione delle nostre società e soprattutto il senso della nostra esistenza”.

 


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