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Nagorno-Karabah, perché la tregua rischia di naufragare

Il Centro unificato per le informazioni del governo armeno diffonde quanto segue: “Qualche istante dopo la pubblicazione della dichiarazione congiunta, l’Azerbaigian ha intensificato i suoi attacchi con i droni. L’esercito di difesa [del Karabakh] continua a fermare gli attacchi azeri uno dopo l’altro, infliggendo grandi perdite. L’avversario sta tentando subdolamente di alterare la situazione sul campo di battaglia subito prima del cessate il fuoco”. È la fotografia (non senza spunti propagandistici) di quanto sta avvenendo in quella regione azero-armena che internazionalmente viene definita Nagorno-Karabah – Artsakh per gli armeni. Gli azeri rilanciano: il ministero della Difesa fa sapere con un comunicato che le forze armate armene stanno bombardando e violano gli accordi: “Il nemico sta colpendo il territorio delle regioni tartare”.

Per Baku gli attacchi si concentrano sull’area di Aghdam, per Erevan su Karahambeyli. Le accuse incrociate di violazioni della tregua dimostrano quanto la situazione sia complicata e il cessate il fuoco traballante. Scattato alle 12 locali, i due Paesi si sono anche impegnati ad avviare “colloqui sostanziali con lo scopo di raggiungere una soluzione pacifica il prima possibile”, come ha dichiarato il ministro degli Esteri russo – fautore dei negoziati preliminari che dovrebbero portare allo stop dei combattimenti e all’apertura di un dialogo più ampio all’interno del formato di Minsk (del quale oltre che la Russia fanno parte Francia e Stati Uniti). Sull’intesa c’è l’interessante placet iraniano: Teheran è parte in causa, osserva la crisi al confine, è preoccupata per la reazione dei turco-azeri che vivono sul proprio territorio (da notare che la Guida suprema è di origini azere), e anche per questo ha già minacciato che qualsiasi forma di estensione del conflitto sarà considerata come una motivazione per interventi diretti.

Il ministro degli Esteri iraniano ha scritto su Twitter: “Esortiamo i nostri vicini a impegnarsi in un dialogo concreto, basato sul rispetto del diritto internazionale e dell’integrità territoriale. Apprezziamo gli sforzi costruttivi dei nostri vicini russi”. Formule vuote le prima, affermazione importante l’ultima se si considera che arriva mentre il capo della diplomazia degli ayatollah si trova a Pechino, per trattare l’accordo con la Cina. E dunque quelle parole servono a dimostrare secondariamente la bontà dell’allineamento russo-iraniano-cinese (partnership complicata, con Mosca e Teheran che vedono nel Partito/Stato come la forma migliore per costruire un blocco alternativo all’Occidente, ma temono di finire fagocitati dal Dragone). In particolare, l’Iran sul Nagorno-Karabah vuole sottolineare come si sia giunti a una tregua grazie all’impegno russo – e perché no iraniano e cinese, sebbene in forma mascherata – e non tramite le azioni diplomatiche di Europa e Stati Uniti.

Non a caso, oggi la situazione del Nagorno-Karabah è stata al centro di un colloquio telefonico tra il presidente russo e quello iraniano, che hanno parlato (dicono le solite note vaghe) di “cooperazione per la sicurezza regionale” – e l’area è un ottimo paradigma (si sarebbe parlato anche della possibilità di implementare il vaccino “Sputnik V” in Iran per fronteggiare la grave crisi epidemica). In tutto c’è la Turchia, che ha rapporti – sebbene diversi – con tutti gli attori in causa escluso chiaramente l’Armenia, e che è il motore dietro alla spinta azera per fare piazza pulita nel Nagorno-Karabah. Ankara, che si considera una sola nazione con Baku (e viceversa), intende sfruttare la situazione per crearsi un’ulteriore sfera di intervento (oltre Siria, Libia, Mediterraneo orientale) e per costruirsi un’altra penetrazione strategica approfittando di una crisi in cui può far valere gli interessi nazionali di una delle due parti – a dispetto degli amici-competitor. Una complicazione che non dispiace agli Stati Uniti, interessati a distogliere al massimo l’attenzione dei rivali sino-russo-iraniani come forma di indebolimento.


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