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Non solo Giorgetti. Perché Salvini deve scegliere fra il modello Volpi o Zanni

Forse è presto per chiamarla “svolta liberale”. Le svolte si fanno di fronte a un bivio, e la Lega di Matteo Salvini ancora non lo ha imboccato. Però qualcosa a via Bellerio si sta muovendo. L’incontro del segretario con il vice Giancarlo Giorgetti è solo l’ultimo episodio. Un faccia a faccia “cordiale”, ma assertivo: per il Carroccio, ha spiegato l’ex sottosegretario alla presidenza al leader, è il momento di scegliere. “Una Lega al 26% non può essere populista. È popolare”, è il ragionamento proposto al “Capitano”.

Adesso anche lui lo riconosce. “Vanno allargati i confini del nostro perimetro politico coinvolgendo imprenditori e professionisti”, confida al Corriere. “Non c’è niente di male ad essere chiamati populisti – riflette fra sé e sé un alto ufficiale leghista – ma con i nostri numeri, con quelle cifre lì, devi essere una forza popolare. Cioè parlare con serietà a tutti, dalle categorie produttive alle ambasciate”.

L’apertura di Salvini e la convocazione degli Stati generali per certificarla sono indiscutibilmente frutto del pressing dell’area “istituzionale” della Lega. Giorgetti ne è il punto di riferimento. Critico ma mai ostile al segretario, come ai tempi di Bossi e Maroni, è lui che, da responsabile Esteri del partito, ha tessuto questi mesi una fitta rete di rapporti diplomatici.

Non è l’unico. Con lui c’è Raffaele Volpi, amico e collega di vecchia data, ex Dc, presidente del Copasir, il comitato di raccordo fra Parlamento e Intelligence. Da quella scrivania, a Palazzo San Macuto, il leghista lombardo, già sottosegretario alla Difesa con il Conte I, ha messo in piedi in un anno un network trasversale di rapporti istituzionali. Ambasciatori, vertici dell’intelligence (italiana e non) e dell’Esercito, presidenti e ad di banche, assicurazioni, partecipate.

Un bottino di relazioni messo da parte dopo un anno che ha visto un protagonismo senza precedenti del comitato. Prima l’indagine conoscitiva sul 5G, avviata dal predecessore Lorenzo Guerini, oggi ministro della Difesa (con cui, insieme a Vincenzo Amendola, c’è grande sintonia). Poi il ciclo di audizioni sulle mire predatorie straniere nel settore bancario e assicurativo, che ha chiamato a raccolta uno ad uno i protagonisti della finanza italiana, anche durante la pandemia, sotto l’occhio vigile (e favorevole) del Quirinale.

Con Giorgetti, assicura chi lo conosce, Volpi si sente “anche due volte al giorno”. Una linea telefonica sempre accesa, non solo per l’antica consuetudine, ma per la comunanza di intenti dei due veterani leghisti. Quella cioè di riportare “sui giusti binari” il partito, limandone le esuberanze che continuano a bollarlo come forza anti-establishment, anti-Ue, anti-atlantista.

Di quelle esuberanze è emblema un’altra ala del Carroccio. Quella che, per esempio, in Europa fa capo a Marco Zanni. Ex Cinque Stelle, votato ad Alberto da Giussano dal maggio del 2018, è il capogruppo di Identità e Democrazia all’Europarlamento. A lui era stato affidato da Salvini il compito di trattare con la maggioranza di Ursula von der Leyen per strappare una nomina in Ue. Obiettivo mancato: a due anni dall’ “assalto alla roccaforte”, i leghisti non toccano palla a Bruxelles.

Qualche eccesso di troppo non ha aiutato. L’ultima, quel voto del gruppo leghista contro la risoluzione Ue a favore di Alexei Navalny, oppositore di Vladimir Putin avvelenato con il Novichok, che ha fatto infuriare Giorgetti e storcere il naso anche a qualche europarlamentare.

L’oltranzismo filorusso a Bruxelles, così come le uscite anti-euro e anti-Ue di Claudio Borghi e Alberto Bagnai a Roma, fanno da contraltare all’atlantismo di Volpi al Copasir e alla “svolta europea” chiesta da Giorgetti. Insieme non possono stare, non a lungo perlomeno. Il bivio per la Lega è tutto qui.

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