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Cina, geopolitica e nichel. Cosa spiega la vittoria francese in Nuova Caledonia

Due settimane fa la Nuova Caledonia ha votato di restare francese in un referendum. La notizia sembra secondaria, anche per distanza geografica del soggetto (area nel Pacifico meridionale composta da una dozzina di isole allineate sul fianco orientale dell’Australia, immerse nel Mar dei Coralli). Però, se presa a freddo mostra chiaramente un paio di dinamiche geopolitiche che meritano attenzione. Innanzitutto la conferma che il territorio resterà francese non era scontata: quello votato recentemente è stato il secondo referendum indipendentista negli ultimi due anni. I pro-Parigi hanno vinto col 53 per cento e uno scarto di 9mila voti (nel 2018 erano il doppio, su una popolazione totale che si aggira sui 250mila individui). La vittoria di coloro che non volevano l’indipendenza è stata una prova superata dalle ambizioni globali di Emmanuel Macron, presidente francese molto assertivo sui dossier del mondo che spesso s’è dovuto scontrare coi limiti del suo paese (vedere per esempio la Libia o l’East Med, il Baltico o il Libano). Nuova Caledonia e Polinesia sono i ganci della presenza francese nel quadrante nevralgico dell’Indo-Pacifico (secondo la definizione della strategia militare statunitense). Già inserite nel 2016 nel forum regionale Pif (per forzatura di Parigi) ora diventano parte di un lineamento geopolitico tracciato da Macron durante una visita in Australia due anni fa, quando aveva parlato di una Cina che sta costruendo il suo impero passo dopo passo.

Già, perché il successo in Nuova Caledonia diventa significativo se si considera che è arrivato contro un gigante: Pechino. La Cina è stata il tema di fondo del referendum pro-indipendenza (e in parte anti-francese). I promotori del “sì” all’indipendenza promuovevano infatti un maggiore, consequenziale avvicinamento a Pechino — che già è ben incuneato nel paese. Il Partito/Stato cinese è d’altronde lanciato nella regione. Cerca satelliti geopolitici per accerchiare l’Australia e soffocarne la sfera d’influenza (che significa anche limare quella statunitense). Nell’area del Pacifico meridionale, un altro referendum secessionista è in programma: nelle isole Salomon, dove la paura del dominio cinese è uno dei principali argomenti. Dietro alla fame di Indo-Pacifico del Dragone ci sono anche aspetti più tecnici. Come per i reservoir di idrocarburi sui fondali del Mar Cinese, la Nuova Caledonia è ghiotta per un’altra materia prima cruciale: il nichel. Nouméa è la capitale delle seconde riserve al mondo di uno dei metalli rari che compongono le batterie. L’oro per un Electro-State (definizione di cui sentiremo molto parlare creata creata dall’Economist). E infatti secondo gli ultimi dati (2018) la Cina importa circa un miliardo di dollari di nichel dalla Nuova Caledonia. Pechino sta cercando di bypassare con l’elettrico-sovrano la carenza e la dipendenza da materie prime energetiche di altro tipo. Per farlo, sta costruendo l’intera catena, dall’estrazione mineraria su prodotti finali.

(Foto: Twitter, Macron in Nuova Caledonia nel 2018)

 


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