C’è un nesso profondo tra il deterioramento della vita materiale ed il dilagare delle malattie mortali che spesso non appaiono così letali. Il pipistrello è l’emblema, il simbolo orripilante dell’ultima malattia globale che ha contagiato il mondo. Gennaro Malgieri legge La rivolta della natura, edito da La nave di Teseo, firmato da Eliana Liotta e Massimo Clementi
“Questa pandemia è paura vera, non la dimenticheremo mai. Ci insegue come una belva feroce, è lava che erutta dal vulcano, onda dello tsunami, sisma, alluvione. Segnerà la nostra storia, come la peste che dilagò nel Trecento da Costantinopoli a Messina e che tornò a lungo a visitare l’Europa. Poco importa che a provocarla fosse un batterio o un virus”. Così scrivono Eliana Liotta e Massimo Clementi ne La rivolta della natura (La nave di Teseo, pp. 189, € 17), un libro apparso qualche mese fa, quando la prima ondata sembrava aver esaurito la sua carica virale e noi tiravamo un respiro di sollevo. Ma i due autori non accreditavano illusioni. Sapevano quel che stava per scatenarsi: una tragedia di proporzioni apocalittiche le cui ragioni oscure o controverse ci ricordano la nostra fragilità e soprattutto che esse sono legate al disfacimento della natura, alle distruzioni climatiche, all’irresponsabilità dell’uomo che non si sente più parte di un sistema organico nel quale ha un posto determinato da leggi che affondano nel principio stesso della vita.
Ed il viaggio dei virus è iniziato all’alba del mondo, come sostengono la Liotta e Clementi.
Oggi sembra che tutto questo si sia dimenticato. Invece dobbiamo ricordare che esso è il principio della mutazione che provoca il disordine biblico che atterrisce in molti, ma rinvigorisce l’imbecillità di chi non crede nell’evidenza: gli stessi che negano la pandemia o non le danno credibilità scientifica ritenendo che si tratti di un complotto o qualcosa del genere.
Non sembra che abbiamo imparato dai nostri errori e continuiamo a perseverare nel commetterli. Intanto se si dice che la natura è stata disfatta, che i mutamenti climatici producono malattie universali, che il rapporto con il cibo è sconsiderato il più delle volte ed in larga parte del Pianeta, si viene tacitati come “catastrofisti”, ma poi quando accade l’irreparabile ci si guarda smarriti, sgomenti, impauriti. E si dubita della propria condizione umana e di quel progresso al quale abbiamo votato le nostre esistenze immaginando che l’essenziale è superfluo e viceversa.
Potevamo essere preparati al peggio che oggi chiamiamo coronavirus? Neppure per sogno. Abbiamo perseguito una politica dissennata, almeno in Italia, ma non solo, nello smantellare il sistema sanitario, nel non dare il giusto peso all’esigenza dei piccoli ricoveri di prossimità, nel dimenticare profilassi, prevenzione e rapporto sano con l’alimentazione.
Tutto questo, anche se non è direttamente legato alla pandemia, si iscrive nel rapporto tra la salute dell’uomo e la salute della Terra, come sostengono la Liotta e Clementi. Convincente questa tesi: “La crisi indotta dalla pandemia ha diversi punti in comune con quella climatica. È globale, sistemica e complessa. Richiede un ruolo attivo della scienza nel dibattito pubblico. E vi è legata sia per le conseguenze che per le cause”, si legge nel libro dei due studiosi citati. I legami, per esempio, tra ambiente e salute, sono fili di una ragnatela che tengono insieme il Pianeta. Chi può dire di non averli danneggiati in parte considerevole?
Anche la scienza ha avuto la sua parte. Ne siamo convinti anche se a Wuhan non verrà mai fatta chiarezza. E mai sapremo se un mercato estremo-orientale è stato la culla dove è nato tutto ciò che si sta prendendo le nostre vite. Di certo nelle megalopoli dove si concentra la gran parte dell’umanità si annidano i germi che producono le catastrofi, ma di questo nessuna organizzazione mondiale si dà pensiero. Così come viene trascurato quando non ignorato che è dal sistema alimentare, dallo stravolgimento chimico dell’agricoltura, dalla lavorazione dei cibi che mangiamo che derivano patologie che innescano processi di degenerazione del corpo e delle comunità con conseguenze più perniciose del Covid.
Insomma, come sostengono la Liotta e Clementi, c’è un nesso profondo tra il deterioramento della vita materiale ed il dilagare delle malattie mortali che spesso non appaiono così letali.
Il pipistrello è l’emblema, il simbolo orripilante dell’ultima malattia globale che ha contagiato il mondo. Esso riassume, nella sua apparente innocenza, il terrore di una sorta di apocalisse che nessuno può dire se è già tra noi.